La scrittura mi ha salvato

il mio diario

Riflessioni casuali sgrammaticate, aride polemiche e sfoghi da insicuro riversati sulle pagine di un diario senza calendario.

Avevo diciotto anni quando incontrai per la prima volta la scrittura e fino ad allora non aveva avuto niente a che fare con la mia vita, con i miei hobby, le mie aspirazioni, il mio abituale modo di esprimermi; non ero neanche così bravo nei temi di italiano al punto da prendere in considerazione la possibilità di utilizzare tale predisposizione per raccontare qualcosa un giorno.

Non ero nemmeno un lettore! A parte qualche rivista di videogiochi e qualche fumetto, per me i libri erano soltanto una perdita di tempo.

Io, giocavo a basket! Ma che scherziamo?! Se prima di conoscere la scrittura mi avessero chiesto di parlare di me, avrei sicuramente preferito farlo con un pallone da basket in mano.

Ho cominciato a scrivere perché non stavo bene e volevo riuscire a dire, prima di tutto a me stesso, quello che provavo e che non riuscivo ad esprimere in nessun altro modo. Parlare di me sopra un foglio di carta, nonostante le mie innumerevoli lacune grammaticali mi ha fatto notare fin da subito l’immenso potere terapeutico della parola. E questa sensazione è diventata ancora più evidente quando due anni più tardi ho incontrato la poesia.

Ma perché proprio la scrittura e non la musica o il disegno per esempio?

E chi lo sa. Non so nemmeno se si trattasse di fuoco artistico. È andata così e basta. Ci sono richiami che non si possono spiegare ma che non si possono nemmeno ignorare. Sono solo andato a vedere più da vicino di che cosa si trattasse.

Quante volte abbiamo sentito il bisogno di fuggire da ciò che ci fa male, ci soffoca, ci spaventa. Il problema è che le nostre paure sono dentro di noi e non fuori, dunque fuggire è soltanto un’illusione, una speranza che dura un battito di ciglia. Possiamo distrarci, girare lo sguardo per un momento, fare finta di non vedere per poi scoprire subito dopo però che i fantasmi sono ancora lì dove li avevamo lasciati.

Scrivevo tutto d’un fiato pagine e pagine di parole e questo mi faceva stare bene; credo di averlo fatto per almeno un decennio intero. Avevo trovato una dimensione tutta mia in cui potevo concedermi il permesso di restare fermo; volevo guardarmi dentro, essere sincero con me stesso, dirmi le cose come stavano. Inizialmente il mio obiettivo era trovare le risposte giuste alle domande (spesso sbagliate) che mi frullavano nella testa ma ben presto mi sono reso conto che già l’atto di scrivere era di per sé terapeutico. Nel mio caso, come nel caso di tutte le arti-terapie, non è stata la qualità (discutibilissima) del prodotto artistico finale a fare la differenza quanto piuttosto il processo creativo in sé. L’obiettivo era l’esprimersi, il creare per accedere agli aspetti più intimi e nascosti di me, per contattare ed esprimere le emozioni più recondite, spesso inaspettate e, ultimo ma non meno importante, per sperimentare e potenziare abilità personali che ignoravo totalmente.

In questi anni si parla molto di scrittura terapeutica e dei benefici che è in grado di apportare. In realtà non è una scoperta così recente ma si fa ancora un po’ fatica ad ammettere che una pratica come il “semplice” scrivere possa portare concreti benefici alle persone. Per esperienza personale credo che la scrittura sia praticabile da tutti, al di là di qualsiasi conoscenza letteraria e di ogni manifestazione di disagio fisico o mentale, come pratica per aumentare la consapevolezza e visualizzare con gli occhi una creazione che nasce invisibile in un luogo interiore e che è connessa al qui e ora della nostra coscienza.

Con la scrittura non si scappa, il foglio diventa uno specchio dell’anima.

Non ha tanto senso nascondersi dietro un foglio mentendo a se stessi e anche se si decide di farlo non è come quando si ragiona tra sé e sé o ad alta voce, che ogni parola è dimenticabile; nel caso della scrittura diventa tutto più complicato perché ci si ritrova immediatamente davanti agli occhi la prova schiacciante dell’auto-tradimento e quindi poi non è così agevole proseguire oltre.

Scrivo ormai da vent’anni e se da un lato posso affermare per esperienza che scrivere è curativo, dall’altro, mi sono anche reso conto nel tempo che la necessità di utilizzare tante, spesso troppe parole per dire delle cose, può rivelarsi un tranello. Le parole a volte ingannano. Oggi come oggi sono più dell’idea che meno parole si dicono, più essenziale e profonda è la comunicazione. Questo concetto mi è diventato più chiaro che mai quando una decina di anni fa mi sono imbattuto negli haiku, brevi poemi di origine giapponese da tre versi il cui obiettivo è osservare ogni cosa con gli occhi di un bambino, trascendendo l’ordinarietà per giungere alla magia, spegnere il rumore dei pensieri ossessivi e godersi l’emozione del momento presente. C’è chi dice che il cervello sia come un museo in cui si estendono infinite sale con immagini distorte. Trovare un senso a queste immagini non è sempre facile. Sensazioni, pensieri ed emozioni possono essere sovrastanti nella loro complessità, possono diventare barriere tra interno ed esterno.

È umano oscillare tra emozioni positive e negative (anche se non è del tutto corretto fare questa distinzione) a seconda delle esperienze che facciamo momento per momento ma ciò che non è salutare è restare bloccati emotivamente poiché quando ci sono delle decisioni importanti da prendere nella nostra vita, questi blocchi, che tendenzialmente preferiamo ignorare o compensare con delle distrazioni, ci impediscono di raggiungere il cuore della nostra, seppur fugace, esistenza.

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Ansia

L’ansia, è un’emozione come un’altra. Non giudicarla. Non tentare di reprimerla. Non esiste un’emozione buona o un’emozione cattiva. È solamente il tuo mondo che s’impone dentro di te e s’infila la toga per convincerti a rimuovere qualcosa, che è il tuo stesso potere, la tua più grande forza.

L’ansia non è altro che un’eccitazione repressa. E se la accogli e la respiri, con il tempo, si trasforma e ricambia l’accoglienza.

È fuori!

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Oggi è uscito il mio libro! Già disponibile su Amazon!

Stai facendo ciò che ami?

Hai mai pensato di cambiare vita?

Tutti i tuoi sogni e desideri dove saranno andati a finire tra dieci anni?

Perché c’è sempre un buon motivo per aspettare?

Che cosa può imparare un bambino da un adulto insoddisfatto e privo di amor  proprio?

Lamentarsi non è una strategia.

LA VITA CHE SCEGLI è un libro che non suggerisce e che non ha la pretesa di dare soluzioni ma che vuole principalmente far riflettere; chiede una pausa per fermarsi e pensare a quella che è stata la nostra vita fino ad ora, se è la vita che veramente ci corrisponde, cioè corrisponde a quello che noi siamo. Si parte dall’infanzia, dall’ambiente in cui siamo cresciuti, dall’educazione sia familiare che scolastica che abbiamo ricevuto, che alcune volte può soffocare le nostre vere inclinazioni, per passare ai rapporti interpersonali che intratteniamo con familiari e amici, che spesso gestiamo male o che accettiamo passivamente, arrivando ad argomenti a più ampio raggio, come il rapporto con la natura che ci circonda, fino a sfiorare la politica e la religione. Una riflessione a 360° su noi stessi e il mondo circostante (due elementi, come vedremo, strettamente legati tra loro) attraverso le esperienze personali dell’autore.

È tutto nella mente? Cosa ne pensi?

 

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Ieri notte ho sognato il mio primo cane, Bubu, scomparso il 23 ottobre di 5 anni fa.

Posso definirlo un sogno ricorrente, ma non troppo. Mi capita forse ogni tre mesi.

In pratica lui è vivo, sano, bellissimo e sembra non avere un’età. Tutto appare dannatamente reale ed è come se in questo sogno io mi risvegliassi da un incubo. Come se la sua morte fosse stata soltanto un’illusione, un male passeggero. Come se il tempo non esistesse e fosse parte dell’illusione.

Ci facciamo le coccole per tutta la durata del sogno, poi all’improvviso, puff…tempo scaduto. Come se nulla fosse successo.

Oppure, guardando il bicchiere mezzo pieno: è come se io e lui avessimo trovato una dimensione alternativa ed onirica in cui incontrarci, dato che il mondo reale non ce lo permette.

Non so che cosa pensare. Non so nemmeno perché voglia condividere questo pensiero online. È che dopo un sogno del genere ti restano in testa delle domande che molti nella storia della filosofia si sono già posti e che non troveranno mai un’unica risposta. Soltanto delle interpretazioni.

Faccio fatica a capire se un sogno del genere sia solo frutto di una suggestione. Che è anche una visione maledettamente terrestre, egoistica e poco fantasiosa.

Vorrei capire che cos’è il tempo, qual è la sua vera dimensione.

Vorrei capire qual è il confine tra la mente e tutto il resto.

A te è mai capitato? Cosa ne pensi?

La Rinascita

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I pomeriggi assolati del tiepido aprile mi esortano a contemplare,

ad abbandonare ogni tipo di angoscia che pesa sulla coscienza

e a cogliere al volo questa fantastica occasione di rinnovamento spirituale e fisico.

Un evento inevitabile che si ripete da sempre, senza essere mai banale.

La primavera è patrimonio dell’universo.

La Rinascita di tutto.

Il cielo azzurro limpido avvolge e protegge ogni forma di vita sottostante

la quale magicamente durante questa stagione si colora di vita,

assorbe e condivide con gli altri esseri viventi l’energia ricevuta in dono dal dio Apollo.

Gli uccelli cantano felici e giocano a rincorrersi

geometricamente imprevedibili tra le nuvole seguendo diligentemente fino al tramonto

le direttive impartite da Eolo.

Verso sera in questo periodo dell’anno abitualmente amo girovagare in bicicletta

lungo le vie del paese e assaporare quel che resta del giorno.

E’ l’ora in cui la gente comune rincasa, si riunisce e si appresta a preparare la cena,

con la finestra semiaperta che lascia entrare la pace regnante nelle strade

e fluire all’esterno i profumi della cucina.

Acquerello giapponese 

Mi sono regalato una scatola di acquerelli
di una marca giapponese così li ho inaugurati
immaginando un paesaggio orientaleggiante.

Una buona occasione

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E’ passato già più di un mese dalla sua dipartita.
E oggi è la Festa del papà.
Sarà pure una festa commerciale, come la maggior parte delle festività sul calendario ma a volte ricordare fa bene e una ricorrenza può venire in aiuto quando il nostro tempo scappa, inseguito dalla quotidianità, dalla routine.
Oggi quindi cogliete l’occasione per abbracciare vostro padre, senza timori, senza rimorsi, perché anche se possono sembrare parole banali, che lo vogliamo o meno, siamo sangue del suo sangue, e un mese fa questo sentimento l’ho percepito come non mai.
Fatelo finché l’amore è tangibile, finché tutto è possibile!
Peace.

Fili che ci uniscono tra sogno e realtà – Il successo di “YOUR NAME” nelle sale italiane.

Tale il successo italiano di YOUR NAME che, per la prima volta, un film di animazione giapponese torna a grande richiesta al cinema: 31 gennaio e 1 febbraio.

L’ho visto e, ragazzi, che dire…CAPOLAVORO.

I temi trattati in questo “romanzo animato” sono la contrapposizione tra paesino di provincia e città, tra tradizione e progresso, tra conscio e inconscio, tra sogno e realtà, tra vita e morte.

Una relazione per nulla scontata, una ricerca, un viaggio interiori ed esteriori che i due protagonisti affrontano individualmente per conoscere la verità (imprevedibile) che li unisce e che viene svelata ovviamente solo alla fine. Il TEMPO è il regista.

Un film che commuove senza toccare tasti facili, che lascia dei bei quesiti sulla vita, sui fili invisibili che ci legano tutti, senza essere MAI scontato e buonista. 

Consigliato anche a chi non ama gli anime.

Questo bullismo

cyberprzemoc-svgOggi si parla del bullismo come di “un nuovo fenomeno di massa, un virus pericoloso che si sta espandendo a vista d’occhio”.
Il bullismo è sempre esistito.
L’unica differenza è che oggi finalmente SE NE PARLA.
Gli anni ’80 e ’90 sono stati anni tremendi, a livello di bullismo.
Chi li ha vissuti può confermare quello che sto dicendo. A scuola, per le strade, pugni, schiaffi e sputi erano all’ordine del giorno. Alcuni angoli del mio innocentissimo paesino collinare era meglio evitarli…
Nei parchi giochi, stravaccati sulle panchine potevi tranquillamente incontrare gruppi di ragazzi e ragazze pronti ad aggredirti per un niente, giusto per passare il tempo, anche solo verbalmente, senza un motivo vero e proprio. Ricordo molti miei compagni di scuola che erano quotidianamente nel mirino di certi gradassi e nonostante questo fosse evidente, non si sentiva quasi mai parlare di denunce, di vie penali, a differenza di oggi. Inoltre non esistevano i cellulari e nessuno girava per le strade e nelle scuole con una fotocamera in mano, pronto a riprendere qualsiasi minchiata.
Insomma era un argomento poco discusso, affrontato forse con troppa leggerezza.

Ma non è un fenomeno del momento. Oggi è solo più semplice raccogliere le prove e discuterne attraverso i media, condividendo, passando parola.

Si può dire quindi che l’arrivo di internet per molte vittime del bullismo sia stato una manna dal cielo, per altre invece soltanto un altro mostro da combattere, un nuovo luogo non fisico in cui tenere gli occhi bene aperti. Difatti alcuni tipi di abusi hanno trovato nuova vita online (dando luogo così al cyber-bullismo) dove il bullo può ottenere notevoli risultati con più facilità rispetto alla realtà, stando comodamente sul divano all’interno delle proprie quattro mura.

Dalla brutta copia del mio prossimo libro…

«Ci rompono i coglioni per decenni, ci sentiamo dire le peggio cose da genitori ed insegnanti, come se lo studio a prescindere fosse sempre più importante di quello in cui crediamo o del tempo che vorremmo spendere per capire in cosa crediamo. Per poi finire come spesso accade, a fare qualcosa che non c’entra un cazzo con tutto ciò che prima era di importanza vitale per tutti. Tranne che per noi.»

Zero

E ora

che mi scrollo di dosso

tutto il tempo che ho perso.

Ora

che le cifre non contano niente

e conto solo su me stesso,

riscopro i colori,

la bellezza degli errori

dell’essere uguale e diverso

adesso

con voi, senza di voi

in questa parte di universo.

Quando credevo nelle fate

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Credevo fosse amore. Credevo di amarla. Ero convinto che anche lei amasse me e che non riuscisse a prendere una decisione perché ancora non si fidava e fosse solo questione di tempo. Balle. Non ci riusciva perché in fondo non gliene fregava niente e perché io pretendevo risposte ad ogni costo. Però a me piaceva, che ci potevo fare? Quando ti ritrovi immerso in quella dimensione surreale esageratamente romanzata diventi cieco. Credi che gli altri non possano comprendere la tua magica condizione ed esiste solo lei. Ricordo che le emozioni che provavo erano potenti ma quel tipo di amore anziché rinvigorirmi mi sfiancava. Mi toglieva le energie e me le restituiva ogni volta che la incontravo.

Mi ero creato nella mente un’immagine di lei che andava oltre il reale. Questo aspetto non lo poteva comprendere chi mi osservava e giudicava dall’esterno. Non poteva sapere esattamente a che livello fosse la mia coglionaggine. E più lei faceva la misteriosa e più divinizzavo la sua immagine. Le piaceva molto quella parte. E a me faceva impazzire, in tutti i sensi e gliela concedevo.

Mi ingolosiva quell’aura di mistero che circondava il suo bel corpicino. Volevo possederla giorno e notte ma il suo atteggiamento mi turbava e cercavo continuamente spiegazioni e certezze.

Ci baciammo, ci respirammo e restammo abbracciati per ore. Avrei voluto stare così per sempre. Ma lei puntualmente poi smetteva di farsi sentire, di farsi rintracciare. Come se il suo cuore disponesse di un comodo tasto On/Off. Avrei voluto essere lei e disporre di quel tasto.

Ma chi lo sa se desiderassi realmente lei o cercassi più che altro di riempire i miei vuoti interiori con qualcosa di magicamente strano e precario. Magari speravo che almeno in amore andasse come volevo io. Senza nemmeno sapere cosa volessi da me realmente. Ad ogni modo ero sulla strada sbagliata. Ero troppo vulnerabile e quindi ho incontrato la ragazza che in quel momento della vita mi meritavo, in relazione alle mie debolezze. Se al suo posto fosse arrivata qualcuna più affettuosa e costante, chi lo sa se l’avrei accettata e desiderata così ardentemente.

Mi piaceva farmi del male, a causa della mia ignoranza, della mia ingenuità e inesperienza e forse tutto ciò che desideravo era restare appeso in quel limbo tra fantasia e realtà e fare schifo travestendomi da sentimentalista.

Primo maggio. Festa del la…?

Il concetto di lavoro sta cambiando. Siamo in una fase intermedia tra un’utopica speranza di un lavoro fisso ancora fissa in testa e quella di un’idea di lavoro futuristico più indipendente, più individuale, sicuramente ancora poco chiara e convincente perché in fase embrionale ma per certi aspetti spesso più conveniente rispetto all’offerta in circolazione.
Dobbiamo chiederci una volta per tutte se sia davvero il caso di attendere un cambiamento ad opera di qualcuno che magicamente compaia dal nulla e risolva i problemi o se non sia invece giunto il momento di prendere per lo meno atto del fatto che nessuno tra i responsabili abbia ancora e avrà mai la minima intenzione (dopo ormai 10 anni di crisi) di ammettere gli errori, di fare un passo indietro, di proporre con i fatti una soluzione alternativa, di ricollocare l’essere umano al centro di ogni questione economica.
Questa fase intermedia caratterizzata dalla crisi economica, nella disgrazia, è se non altro un’occasione irripetibile per rimettere in discussione il significato che diamo a termini come vita, spiritualità, buon senso. Se non lo fanno i diretti responsabili e sostenitori del tanto amato progresso non vuol dire che non dobbiamo farlo noi, non dobbiamo cadere nella trappola del terrore e della spread-dipendenza.
Oggi bisogna riconoscere che il passato è stato migliore perché ci illudeva di sapere cosa fare della nostra vita, dimenticandoci così di occuparci della nostra parte interiore, quella spirituale, senza la quale un essere umano smette di esistere.
E così è stato. Tolte quelle illusorie certezze siamo rimasti sguarniti, come se ci avessero tolto il pavimento sotto i piedi, siamo precipitati in un abisso senza via di fuga, privo di umanità e di quell’illusoria identità che ci garantiva anche un po’ di autostima. Ormai siamo arrivati al punto da assecondare ed accettare ogni proposta occupazionale, anche la più indecente pur di riaccaparrarci una seppur breve speranza di indipendenza economica che ahimè però finge di arrivare.
Ma noi siamo anima e corpo e soltanto la loro armonica cooperazione è in grado di garantirci una vita degna d’esser vissuta. Se il nostro approccio sociale individuale in questo contesto miserabile, in cui il progresso ed il profitto di pochi stanno al centro dell’universo ci grantisse almeno un po’ di spiritualità sono sicuro che qualcosa di nuovo e sincero prenderebbe forma. Sono sicuro che diminuirebbero anche alcuni tipi di suicidio e di omicidio. La rivoluzione che garantisce un’evoluzione deve nascere dentro di noi e non fuori. Che ci sia il caos intorno a noi è indiscusso. Che ci siano dei responsabili diretti nell’errata gestione politica, economica e sociale non vi è ombra di dubbio. Ma anche noi semplici cittadini abbiamo una responsabilità, dobbiamo riconquistarci quanto meno e quanto prima il nostro piccolo spazio vitale, quello fatto innanzitutto di pazienza e contemplazione, fatto di rapporti sociali veri che vadano al di là della competizione, dell’interesse economico.
O vogliamo davvero diventare delle macchine?

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Cartoni animati giapponesi brutti

Cattura

Sono un appassionato di anime anni ’80/’90 (che quelli della mia generazione chiamavano semplicemente “cartoni animati giapponesi“) ed ero a conoscenza del fatto che alcuni dei più famosi titoli seguiti all’epoca in tv da noi bambini, nacquero in realtà parecchi anni prima.

Ma non credevo così tanto prima!

Fatto sta che l’altro giorno mi è capitato di rivedere una puntata di “Mimì e la nazionale di pallavolo” e sono rimasto letteralmente di merda! Non me lo ricordavo così. Così “di legno”, intendo!

Mi sono chiesto chi caspita riuscisse a guardare una cosa del genere negli anni ’80!!

Quasi tutti! E lo ammetto, pure io lo guardavo ogni tanto. Sinceramente non mi perdevo un solo cartone animato all’epoca, solo che Mimì me lo ricordavo un po’ meglio di così. Da bambino mi sembrava un cartone normale, attuale. I colori spentissimi (ed è stato pure restaurato), la tristezza nei volti dei personaggi, la storia di una stanchezza inverosimile, tempi stramorti, musiche tragiche (a parte la sigla in italiano cantata da Georgia Lepore, che però risale agli anni ’80, quindi non fa testo). Insomma, veramente una brutta impressione. Ha la stessa tristezza e quel sapore amaro dei filmati  girati in Corea del Nord con protagonista Kim Jong-un. L’atmosfera è quella.

E non sono uno snob! Credetemi che ho l’occhio allenato per certe cose vintage. Mi sparo abitualmente qualche vecchia serie, che conservo con amore in un hard disc esterno. E le amo e le apprezzo tutte ancora oggi come un tempo! 

Pochi altri cartoni animati giapponesi sono riusciti a farmi rimanere così di merda. Un altro esempio è “I bon bon magici di Lilli“. Stessa cosa. Inguardabile.

Così sono andato alla ricerca dell’anno di nascita di entrambi gli anime e ho scoperto che Mimì e la nazionale di pallavolo è del 1968!!!

Vi rendete conto?? L’epoca degli hippy!

E’ nato quando mia madre era ancora la bambina di sua madre! Cioè quando aveva all’incirca tredici anni! Pazzesco. Altroché “i cartoni animati della mia generazione” come ripetiamo continuamente!

I tempi sono cambiati, c’è una nuova percezione sia del Giappone che degli anime oggi. All’epoca il Sollevante era un paese molto più “distante”.

Però se trasferiamo mentalmente lo stesso fenomeno a tempi più recenti ci accorgiamo che tutto sommato anche oggi funziona un po’ così, se prendiamo qualche titolo più recente. Cioè per esempio “Dragon Ball” non è così nuovo come appare eppure la maggior parte di voi avrà seguito con ardente passione le sue puntate dal 1999 in poi, da quando praticamente fece il botto su Italia Uno. E sono sicuro che pochi si sono chiesti quale sia in realtà il suo anno di nascita dando per scontato che fosse una novità. La prima stagione di Dragon Ball risale al 1986! Poi quelle successive chiaramente sono un po’ più recenti. C’è da dire che in Italia la prima stagione fece capolino nel 1989 ma non riuscì nemmeno a sfiorare il successo che ottenne appena dieci, quindici anni dopo. Quindi voglio dire, se per esempio paragoniamo il successo di “Mimì e la nazionale di pallavolo” a quello di “Dragon Ball” i conti in qualche modo tornano. Ovvero Mimì che nasce nel ’68 arriva da noi appena nell’81 e raggiunge l’apice della sua fama negli anni successivi a suon di repliche su repliche. Dragon Ball nasce nell’86, da noi arriva in avanscoperta tre anni dopo ma in realtà spopola appena nel ’99. Quindi forse è soltanto l’idea che appartengano agli anni ’60/’70 che mi fa così impressione.

I bon bon magici di Lilly” nacque nel ’70 e dunque come per Mimì, riesco a spiegarmi le ragioni della sua bruttezza e della tristezza che mi trasmette.

Eppure a quel tempo li guardavamo come pazzi. 

E “L’uomo Tigre“?? 1969!!! Sì! Pure lui è vecchierellissimo! E un po’ lo si nota dai: i dettagli quasi non esistono, le movenze dei personaggi sono rigide, l’atmosfera che si respira è abbastanza cupa, piatta e sguarnita! Eppure mi pare meno brutto di Mimì e di Lilly perché forse la sua trama e i suoi personaggi mi sembrano un po’ più grintosi, coinvolgenti ed interessanti.

Come del resto anche il tanto amato Rocky Joe, forse il mio cartone animato preferito!

Lui risale al 1971 (la versione manga invece nacque già nel 1968!)! Quindi che parlo a fare?

Ma sì, sono gli anni ’60 che nella mia mente vengono associati a qualcos’altro che non ha nulla a che vedere con il mondo dei manga e degli anime e soprattutto con l’Oriente. Anche perché i cartoni animati giapponesi a quell’epoca qui non c’erano e venivano trasmessi solo sulla tv giapponese! Ma mi fa strano immaginare per assurdo che avrebbero potuto essere i cartoni della generazione di mia madre e di mio padre o al massimo di quella successiva anziché della mia, se dovessimo tener conto soltanto della loro età e fossero approdati qui in contemporanea con la loro uscita in Giappone, come del resto accade oggi che sono praticamente tutti nuovi di zecca. Ma grazie a internet questo non avviene soltanto nel mercato degli anime.

Questo non è sinonimo di qualità e non toglie che chi più chi meno, li amerò sempre tutti, se non altro per i bellissimi ricordi associativi che mi riconducono alla parte più bella della mia infanzia.

 

Le sigle

Cos’è che hanno in comune tutti questi famosissimi cartoni animati che hanno scandito il nostro meraviglioso tempo delle nostre avvincenti e gloriose giornate anni ’80 e ’90?

Le sigle, ragazzi! 

Le sigle, guardando il fenomeno da un punto di vista schifosamente imprenditoriale sono state un’operazione di marketing pazzesca! Non lo so se avessero ragionato in questo modo negli anni ‘80 i pionieri dell’anime in Italia, ma se così fosse, sarebbero dei geni.

Una cosa è certa. Le sigle dei cartoni animati ma anche dei telefilm, dei telequiz, dei programmi vari in onda a quell’epoca sono riuscite a fissare per sempre sulla parete della mente e del cuore della mia generazione il poster di un periodo storico eccezionale ed irripetibile di cui tutti oggi più che mai ne sentiamo la mancanza.

Una sigla più bella dell’altra! E forse mi sa che è stata proprio la magia delle sigle a renderli più belli e convincenti ai nostri occhi anche quando erano un po’ più noiosetti. Pensate quello che la musica può fare…lo diceva anche Max Gazzè.

Oggi non è proprio la stessa cosa. C’è anche da dire che le case di distribuzione non sentono più l’esigenza di creare una versione italiana della sigla d’apertura per facilitare la diffusione dell’anime nel mercato italiano, tant’è che il più delle volte viene mantenuta quella originale giapponese.

Dalla Corea con furore: una riflessione sul rispetto per la vita…e per la morte

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Come ogni anno anche quest’anno a fine aprile a Udine è tempo di Far East Film Festival, la più ricca rassegna cinematografica dell’Estremo Oriente in Europa.

Quest’anno si è partiti con The Tiger, del regista e sceneggiatore coreano Park Hoon Jung. E direi che si è partiti molto ma molto bene.

One word: Capolavoro.

Non sono un critico cinematografico quindi non mi azzardo a descrivere particolari tecnici che non conosco. Mi baso sempre e soltanto sulla mia percezione sensoriale, su ciò che un’esperienza mi trasmette.

 

Nelle righe che seguono non spoilero assolutamente nulla del film quindi puoi continuare a leggere tranquillamente! 😉

 

Choi Min-sik  (protagonista principale nel famoso film Old Boy) è un esperto cacciatore che viene ingaggiato dal governo giapponese (siamo nel 1925 e la Corea è sotto il controllo del governo giapponese) per cacciare l’ultimo esemplare di tigre coreana con lo scopo di colpire a morte l’anima del popolo sottomesso distruggendo un simbolo di fierezza. Più tardi si scopre che per il cacciatore quella tigre è molto più di questo. Difatti i due protagonisti principali (il cacciatore e la tigre), avversari nel crudele rapporto naturale preda-predatore (in cui non si capisce bene chi tra i due sia la preda e chi il predatore)  si conoscono più di quanto sembra e i loro ruoli contrapposti (ma sostanzialmente identici) passano in secondo piano quando dopo una lunga battuta di caccia estrema e disumana dai toni quasi bellici, entra in gioco un sentimento di compassione reciproco, un profondo senso di rispetto che mi ricorda lontanamente quello di Bruce Lee nei confronti dell’avversario (Chuck Norris) dopo averlo battuto nel celebre duello all’ultimo sangue nel Colosseo in “L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente”; un gesto di riconoscenza che prescinde dall’appartenenza ad un regno specifico e che eleva The Tiger sotto il profilo stilistico e narrativo. Tutto questo unito a scenari mozzafiato compone un film veramente intelligente che non si impegna per levarti la lacrima a tutti i costi e in cui non vi è traccia di speculazione sentimentale. Anche il ritmo altalenante che alterna quiete estatica a truce violenza mi è piaciuto e mi ha tenuto “sveglio” fino alla fine.

E’ un film che parla attraverso altri (e soprattutto alti) codici di comunicazione, attraverso i quali si decide anche il gran finale (e davvero un gran, gran, gran finale).

 

Il punto

“La morale della favola” non da per forza ragione a nessuno, né all’uomo né all’animale, anche se spera di essere un’occasione di riflessione per noi sciagurati esseri “superiori” nella gestione dei rapporti umani. Ci sono delle regole naturali del regno umano come in quello animale che forse sono le uniche che possono funzionare per assicurarci una convivenza più che dignitosa, tra due regni molto diversi tra loro ma che nel profondo hanno molti punti in comune, come l’esperto cacciatore e la tigre del film in questione.

Dal mio punto di vista non lo so se si potrà mai fare a meno di uccidere in questo mondo. Non lo so se ci sia mai un motivo valido per farlo. Così su due piedi ovviamente direi di no. Allo stesso modo non credo che ci sarà mai un giorno in cui ad un certo punto diventeremo tutti pacifisti. Sarebbe bello, ma non credo nell’ipotesi di un mondo perfetto. Non mi fido nemmeno di chi lo desidera e pretende che i suoi simili si allineino a questa idea, attraverso dimostrazioni di gruppo i cui membri, che predicano in coro e si sostengono a vicenda in nome di una questione importante, singolarmente nella loro quotidianità, nelle scelte interiori personali presentano più ombre che luci.

Citando l’ultimo intervento di Saviano, che vale in ogni ambito: “Non credo in quella giustizia in nome della quale vengono fatti i peggiori crimini”.

Io credo in una giustizia superiore che non è quella di un dio buono che porta pace e serenità in tutti i cuori ma che è quella della natura, di un’etica superiore che c’è per forza, in cui ogni uomo dovrebbe riconoscersi e credere spontaneamente perché si basa sul buon senso, sull’amor proprio, sulla pietà e sulla compassione, da cui nasce il senso di rispetto nei confronti della vita. E se nella vita di un uomo mancano questi valori allora la sua vita non ha senso.

 

In conclusione

Un film da vedere e da aggiungere alla propria videoteca personale!

Giornata mondiale del libro

p_20160423_103857_1.jpgChi pensa di conoscermi
e si ostina a cercarmi
entro i confini di una mappa
corre sempre il rischio di viaggiare a vuoto.
Chi mi conosce
non tenta di localizzarmi
e sa che nell’albergo del mio cuore
troverà sempre posto.

 

[dal mio libro IL VERSO DEL CANE – LA NOSTRA VOCE INTERIORE]

Nessuno si astiene. Tutti votiamo

VOTE DIFFERENT

Sei andato a votare l’altro giorno? Sì? Bravo. Ora puoi sederti nuovamente davanti alla tv a ridere alle battute di quei “mattacchioni” di Merd in Sud e di Striscia l’Immondizia. Puoi continuare a seguire quei programmi demenziali con tribune elettorali (citando Battiato), puoi metterti una volta per tutte in panciolle e decidere chi far rimanere sull’isola! O se di fronte a questo merdaio rimanere sulla penisola un minuto di più anziché partire verso una chimerica speranza di futuro per te e/o per i tuoi figli.

Tanto, il tuo l’hai fatto.

Ora che hai votato democraticamente per un mondo più solidale puoi continuare ad ingoiare dalla noia e dalla rabbia con quell’imprudenza che ti contraddistingue quei prodotti alimentari industriali che ami tanto vuoi per il sapore, per il colore della confezione o per la viralità del suo spot che pulsa nel tuo cervello da questa mattina, e a ringraziare il Cielo che la tua squadra del cuore abbia vinto anche domenica.

Infondo non sei solo! Non vorrai mica fare il bastian contrario? A tutti piace il calcio! A tutti piace la tv! Quant’è comoda la poltrona davanti alla tivù col suo bel telecomando! Io ne ho tre, di telecomandi intendo. A tutti piace andare al supermercato e riempire il carrello! C’è ancora chi lo fa! Nonostante la crisi! A modo suo, ma lo fa. Entra in uno di quei bei discount che abbondano di scaffali, corsie e prodotti di sottomarca e riempiono il carrello con il ghigno di chi è più furbo di te, di chi te l’ha fatta sotto il naso, di chi ha risparmiato un sacco di euro alla faccia di chi gli vuole male!

Infondo, riempire il carrello da l’idea di non essere così tremendamente poveri. Avere il frigo pieno (non si sa di cosa ma l’importante è che sia pieno) trasmette tranquillità. Puoi guardare i tuoi programmi preferiti con qualche certezza in più, con la certezza di non rimanere mai con il becco asciutto mentre ridi o piangi bello comodo sulla tua poltrona preferita!

Infondo è quello il posto che ci hanno assegnato. E’ lì che noi scarichiamo tutte le nostre ansie e le preoccupazioni quotidiane. E’ lì che ci diamo la buonanotte prima di sognare vite parallele e ricominciare un’altra inutile giornata.

Per quanto tempo resisterai?

Ma torniamo a noi, altrimenti si finisce per pensare.

Ora che hai fatto la tua parte al seggio, puoi ricominciare a vivere la tua vita di sempre, fatta di lamentele pressoché comuni a tutti quanti. Questo ti conforta. Infondo se tutti si lamentano, un motivo ci sarà! Significa che il tuo problema è reale, e non solo, se poi viene diluito tra la gente, vale a dire i tuoi colleghi, i tuoi amici e i tuoi parenti diventa un problema di tutti, diventa anche meno pesante per la tua coscienza, che ha ben altro a cui pensare!! No?

Si sa: mal comune, mezzo gaudio.

Mah…

Ora che hai votato puoi continuare ad andare a messa la domenica e a tradire il partner anche soltanto con gli occhi perché è colpa sua se ti fa soffrire e se sull’altare ti ha convinto a “votare sì”.

L’importante è che prima di tutto la colpa sia degli altri. Poi in caso si vedrà.

– “La colpa è dello Stato!”

+ E chi è lo Stato?

– “I politici”

+ Ah… Non noi?

– “Ma noi che potere abbiamo? Tanto fanno quello che vogliono…”

+ Sono d’accordo che la politica faccia il possibile per renderci la vita difficile ma questo non significa che noi dobbiamo rimanere a guardare, lamentandoci tutto il giorno per decenni e decenni, da decenni e decenni. Ti rendi conto che mio padre sono decenni che sbraita davanti alla tivù allo stesso modo, con le stesse parole, contro le stesse persone senza aver mai tentato di cambiare il suo punto di vista, la sua giornata tipo, senza aver mai tentato di realizzare un suo seppur piccolissimo sogno, tipo che ne so, restaurare i mobili? A lui piace! Ora è in pensione, potrebbe farlo, e invece fa la stessa vita di sempre solo con qualche ora di sonno in più, aspettando un’utopica ricompensa per il culo che si è fatto per tutta la vita.

– “Beh, pover uomo, vorrei vedere te! Se la merita una ricompensa!”

+ Sono d’accordo! Ma lui lo sa benissimo di che pasta è fatta la maggior parte della gente che siede in Parlamento e che quella ricompensa tanto sperata, sotto forma di chissà che cosa non arriverà mai. Si può usare un alibi del genere per continuare a frignare e ad abbandonarsi al telecomando e al divano? Oltretutto questo tipo di vita non lo rende sereno. Glielo leggo negli occhi e me lo fa sapere quando si arrabbia inutilmente per una macchietta sulla tovaglia. Lui crede che il cambiamento dovrebbe arrivare da fuori. Rivuole indietro gli anni ‘80, i ‘70 e cose del genere.

– “Beh erano anni d’oro, è comprensibile che lui la pensi così. Vorrei vedere te. Ma poi scusa, lui ha fatto il possibile per darti il pane con cui sfamarti e tu lo tratti così?”

+ Ecco lo sapevo che prima o poi saremmo arrivati a questa conclusione…Intanto sono d’accordo che gli ‘80, nonostante fossi molto piccolo, per alcuni tratti fossero anni decisamente meno spaventosi rispetto a questi. Forse economicamente si stava meglio, ma allo stesso tempo erano anni di sprechi assurdi alla faccia della miseria, senza criterio, senza un minimo di buon senso. Stiamo pagando oggi quegli sprechi. Non è soltanto colpa della crisi e dei signori del male. E’ colpa del pressapochismo umano in generale.

E poi io lo dico per lui! Non sputo sul piatto in cui mi ha fatto mangiare! Lo ringrazio per tutto quello che non mi ha mai fatto mancare ma il punto è un altro! Vale per tutti! Non solo per mio padre! Prendo mio padre come esempio perché lo conosco meglio del tuo! Potrei parlare di mille migliaia di persone che ragionano allo stesso modo. E’ questo che mi preoccupa. Il fatto che mia madre e mio padre abbiano creato il nido d’amore in cui sono cresciuto non fa di loro degli eroi. Gliene sono grato, sia chiaro, li amo, a prescindere. Mi hanno messo al mondo e mi hanno sempre fatto trovare il famoso pane quotidiano, ma questo non da a loro il diritto di pretendere che tutto intorno funzioni solo perché un giorno hanno deciso di stare insieme, di mettermi al mondo ed amarmi. Allora giustifichiamo la condizione di tutte le famiglie del mondo. Famiglia = Dio? Soltanto perché si parla di matrimonio, di prole, ecc? Sono liberi di essere ciò che credono. Il problema è che sono i primi a non sentirsi liberi di essersi espressi come avrebbero voluto e spesso rigettano le loro ansie e i loro vuoti su di me o su chi non c’entra con queste loro mancanze individuali. Che poi se gli chiedi cosa avrebbero voluto diventare non sanno darti una risposta certa perché non si sono mai soffermati troppo a pensare, ad interrogarsi sulle loro inclinazioni, a mettersi in gioco per capirlo. E non sono così vecchi. Il problema è che non ci provano nemmeno. Non ci hanno mai provato. E’ vero, erano anni diversi, prosperosi in confronto a oggi, le risorse disponibili abbondavano, potevi reinventarti quando volevi. Non si sentiva il bisogno di rifugiarsi in se stessi per poter respirare e allontanarsi da questa fretta perpetua che caratterizza quest’era senza meta. Però, anche continuando ad accusarsi a vicenda di non aver fatto abbastanza l’uno per l’altro e a prendersela con chi c’entra relativamente poco nelle loro scelte di vita mi sembra inutile e patetico dopo tutto sto tempo. A sentirli, sembra che ognuno di loro abbia dato il meglio su questo pianeta sacrificando le proprie inclinazioni per formare una famiglia e dedicarsi all’amore verso il prossimo. Dovrei commuovermi? Capisci perché in tv funzionano i vari Moccia e le Marie di De Filippi?

Perché ti lamenti se non fai niente per risolvere il problema che sta alla radice?

Questa è la mia domanda.

Tutti, come i miei genitori sentiamo il bisogno di fare qualcosa che ci rappresenti individualmente. Ma la maggior parte di noi preferisce distrarsi andando in palestra o frequentando gruppi di qualcosa, giusto per cambiare aria e sentirsi parte di un nucleo diverso da quello famigliare che ci regali l’illusione di essere padroni della nostra vita e delle nostre scelte. Ma queste sono distrazioni e non rivoluzioni. Dirai: meglio di niente. Ma la situazione non cambia se ti distrai. Il problema rimane alla radice. Non lo estirpi con la distrazione. La distrazione ti aiuta solo a non pensare momentaneamente al problema. E’ un po’ troppo comodo direi. Per quanto durerà? E’ come quando hai il mal di testa e decidi di prendere la pastiglia per combattere soltanto il sintomo. Va bene, quello si chiama antidolorifico, una sorta di droga che si occupa del sintomo e non del male alla radice. Io vorrei capire il perché del mio mal di testa e fare in modo che non ritorni. Voglio estirpare il male alla radice. La maggior parte di noi invece si limita ad occuparsi del sintomo del proprio malessere.

I miei genitori si sono abituati ormai a ribellarsi anche alla più stupida mancanza d’attenzione, a pretendere sempre qualcosa l’uno dall’altro, a passarsi automaticamente la colpa appena qualcosa non va. Questo perché hanno raggiunto un’età in cui ognuno dei due sente più che mai l’esigenza di stare in pace, farsi gli affari suoi senza nessuno tra i piedi pronto a stravolgere i suoi piani e ad attaccare suoi gusti. Poi i loro punti di vista si dividono e non si incrociano per ore ma in qualche modo finiscono sempre per sopportarsi e proseguono il loro cammino accumulando cocci sotto il tappeto.

Ci sono cose che si possono evitare, prevedere. Non tutto, non dico tutto. Non si può vivere senza commettere errori. Non fidarti mai di chi non commette errori.

Non potrai prevedere la moda, i cambiamenti di costume, ma le scelte che fai tu, quelle sì. Almeno quelle.

Certo, dipende molto anche dalla condizione in cui nasci, cresci. Sarà più o meno difficile, ognuno ha i suoi problemi ma se hai un obiettivo, a prescindere dalla condizione di vita, da cui comunque dovresti cercare il modo per uscire, se sai quel che vuoi o per lo meno che ti farebbe vivere meglio di così perché rinunciare ad inseguire quella meta fin da subito? Bisogna anche sapere cos’è che ti farebbe stare meglio però. E non parlo di acque termali e cose del genere ovviamente. Occorre esplorarsi. Perdere tempo per trovarsi.

Lo sai che il mondo è pieno di outsiders che hanno seguito i loro sogni uscendo da situazioni umanamente impossibili?

Sono stati fortunati?

Certo, la fortuna aiuta. Il caso. A volte anche la scelta più stupida può alterare il futuro di una persona, ma io credo che siamo noi a creare le condizioni affinché la fortuna bussi alla nostra porta e affinché le scelte che facciamo siano quasi sempre giuste o quantomeno correggibili. Se te ne stai chiuso in casa ad attendere che un passante ti consegni una chance a domicilio allora sì che devi sperare di averne di fortuna. Se cerchi di andarle incontro, non è detto che lei sia lì ad attenderti a braccia aperte ma nella maggior parte dei casi qualcosa succede. Perché la fai succedere. Da cosa nasce cosa. Mettendoti in gioco. Il resto poi viene da sé.

Se frequenti persone che ti portano sulla brutta strada non puoi piangere il morto se poi le scelte che fai finiscono per rivelarsi quasi sempre sbagliate. Facile poi dare la colpa alla sfortuna. Più ci applichiamo per rendere agibile il nostro percorso, più facile sarà superare gli ostacoli.

Il risultato finale non conta. Intendo dire, non sarà per forza la gloria ed il successo, una ghiotta ricompensa finale, una fantomatica mano che ti porge qualcosa sul piatto d’oro, a darti la conferma di aver fatto le scelte giuste. Non è che se fai successo, se ottieni un riconoscimento sei felice e se non lo ottieni non lo sei. E’ come aspettarsi una ricompensa da qualcuno a cui hai salvato la vita. Che in quel caso forse sarebbe un po’ più plausibile perché hai sacrificato la tua. Ma ciò che nella mente ti ha spinto a salvargliela non è stata l’idea di un possibile tornaconto. Hai fatto la cosa che ti è sembrata più giusta.

La ricompensa può darti delle soddisfazioni a livello materiale, può donarti ispirazione e forza d’animo per continuare a fare del tuo meglio ma il punto non è quello. Quanti individui vivono infelici nonostante il loro successo? Il successo può far bene, può far male.

Ma ciò che ti rende sereno è la libertà di scegliere di fare ciò che ti piace, ciò che ha a che fare con la sostanza divina e vitale depositata dentro te, con ciò che sei nel profondo dell’anima. A qualsiasi livello.

Ciò che ti rende orgoglioso di svegliarti la mattina è la libertà di alzarti senza dover rendere conto a nessuno di quello che vuoi fare oggi.

Ci sono persone al mondo che non possiedono nulla a livello materiale e che nonostante tutto sono serene perché possiedono ciò che conta: la libertà di essere se stesse e poter cambiare vita ogni giorno, con l’unica responsabilità di non mentire all’intervistatore che c’è dentro il loro cuore, la famosa voce interiore, pronta a toglierti la maschera e a rinfacciarti chi sei realmente.

E ti rispondono: “Eh eh, facile la vita così eh?”

Ma assolutamente no. Soprattutto in questa parte del mondo in cui la maggior parte di noi spera ancora nel posto fisso e che da domani tutto cambi e torni come prima.

Non è per niente facile perché mentre lavori per sopravvivere alla fame ti devi applicare per capire, se non l’hai ancora scoperto, chi sei realmente nella vita, cos’è che ti fa stare bene. E una volta scoperto devi incamminarti e questa è spesso la parte più difficile, quella in cui devi trovare il coraggio di metterti in gioco, valutando prima le risorse a tua disposizione che ti consentirebbero di intraprendere il nuovo percorso che hai scelto. Ti devi organizzare al meglio prima di cambiare rotta.

– “Quindi tu pensi che tuo padre e tua madre non avrebbero dovuto metterti al mondo per poter fare quel che gli pare?”

Non dico questo. Credo che ognuno nonostante le sue scelte personali possa svegliarsi la mattina e aggiustare ciò che della propria vita non funziona come vorrebbe. E’ chiaro che la creazione di una famiglia complica le cose perché ti sei preso delle responsabilità irrevocabili. Non puoi prenderti e andartene come fosse niente. Certo, c’è chi lo fa. Ma non è detto sia la soluzione più intelligente. Vedi, quando decidi chi metterti in casa devi anche essere sicuro che si tratti di una persona capace di crescere, di accettare i cambiamenti. E tu ovviamente dovresti essere in grado di accettare i cambiamenti di chi ha scelto di vivere insieme a te. E’ una forma di rispetto, comprendere, ascoltare, soprattutto la persona che dici di amare. Perché questo è amare. Capita che uno dei due decida di mandare un segnale al partner per metterlo al corrente, a modo suo, di un proprio cambiamento interiore di cui vorrebbe renderlo partecipe. Spesso questo segnale non viene recepito o viene recepito male perché il cervello contattato in quel momento non è raggiungibile per un sacco di motivi. Vuoi per un’incapacità innata di ascoltare il prossimo, vuoi per il lavoro e alcuni obblighi ed automatismi quotidiani a cui ci si lega che alienano le persone, occorre sapere bene con chi si ha a che fare e con chi si vuole condividere il proprio letto. E’ inutile poi lamentarsi e dire: “non so più chi ho sposato!”

E come si fa a capire prima, tutto questo?

Non è una questione di fortuna. Se tu conosci te stesso, i tuoi limiti, le tue capacità, conosci ciò che ti rende sereno, se non sei masochista mi sembra normale che se decidi di vivere insieme a qualcuno da amare, cercherai qualcuno che non ti limiti almeno sotto alcuni punti di vista fondamentali per la sopravvivenza del tuo vero essere. E tu essendo abituato ad esplorare i meandri del tuo ego e ad ascoltarti, sarai in grado di percepire più facilmente ogni segnale e di accettare un possibile cambiamento da parte del tuo partner. Proprio perché sai che potrebbe capitare anche a te. Se poi non ci si accetta, ci si lascia. Si ha qualcosa di più importante per cui vivere probabilmente. Le proprie inclinazioni, per esempio. Non puoi sacrificarle quelle. Perché a quel punto significa che sei cieco o sei stupido. Perdendo il controllo di ciò che ti rende felice non potrai mai rendere felice la persona che hai deciso di continuare a frequentare a prescindere. Punto. E’ così illogico e così privo di romanticismo il mio ragionamento ? Ma non ti rendi conto di tutte ste coppie insulse che vagano e fingono di amarsi continuamente pur di mantenere i propri status symbol, di non sfigurare tra la gente, con il timore di sentirsi giudicate per non aver seguito uno schema prestabilito da non si sa chi?

La paura dell’opinione altrui va sconfitta. Occorre tenere ben stretto il telecomando della propria vita in mano.

Bisognerebbe imparare anche a lasciarsi. O quanto meno imparare a non sposarsi. Magari a convivere finché alcune esigenze personali non cambiano (in ognuno di noi le necessità personali, le richieste interiori cambiano anche a seconda dell’età). Nessuno ti impedisce di mettere al mondo un figlio. Nessuno ti impedisce di continuare a frequentare il partner al di fuori delle mura domestiche. Nessuno dice che per fare ciò che ti piace devi per forza restare solo. Tra l’altro è anche bello poter condividere un unico percorso verso la realizzazione di due sogni diversi tra loro. Ma prima di fare una cosa del genere occorre aver raggiunto individualmente un certo livello di consapevolezza che ti consenta di comprendere i limiti di ciò che ti piace chiamare amore e che invece spesso si chiama senso di possesso e paura di rimanere soli.

Non si può giustificare il fallimento di tutti coloro che hanno deciso di mettere al mondo un figlio. Sarebbe anche egoistico da parte di un genitore convincersi di aver fallito e di aver rinunciato ai propri sogni per dare amore alla moglie, al marito o al figlio. Un bambino potrebbe anche sentirsi in colpa per essere nato pensando che i suoi genitori hanno rinunciato quasi a tutto per crescerlo.

Dico che non si può essere ciechi di fronte a delle responsabilità che hai deciso di prenderti tu, soltanto tu, con la tua testa. Nessuno ti ha puntato la pistola alla nuca. Non puoi metterti a rubare perché hai quattro figli da sfamare con la pretesa che tutto il mondo ti comprenda e ti regali il cibo. Ad un certo punto chi te l’ha detto di metterli al mondo tutti e quattro? Non è sempre tutto così romantico come sembra. Troppo facile nascondersi dietro i paroloni. Occorre anche andare oltre certi preconcetti disneyani se vogliamo mettere la testa sulle spalle, come ci piace tanto.

Ma ritorniamo a noi! Altrimenti qua si finisce sempre per pensare troppo e a nessuno piace farsi le paranoie. C’è anche chi odia soltanto pensare.

Insomma hai votato, ieri hai faticato tutto il giorno senza essere retribuito, tu fai tutto per gli altri e nessuno fa niente per te?

E’ sempre colpa degli altri. Ma è possibile che lo sia?

Infondo anch’io in questo mio post do la colpa agli altri. A te che fai di tutto per appartenere a qualcosa, per sentirti accettato, per dare un taglio alla tua noia, alla routine, per convincere te stesso che anche se tua moglie non ti ascolta più e tuo figlio si droga, per lo meno sui social network la tua opinione ha un certo peso, viene presa in considerazione e addirittura commentata da qualcun altro che come te cerca il suo momento di gloria, dopo una giornata di merda spesa in litigi, obblighi e lamentele. Quello diventa il tuo unico momento di libertà. Quindi guai a chi tocca la tua opinione.

Non è triste tutto ciò?

Come se non bastasse ci sono i talkshow da cui assorbiamo la linfa ignorante con cui dare il peggio di noi e grazie ai quali ci convinciamo di sapere come va il mondo. Infondo nel nostro paese la tivù è ancora oggi il mezzo d’informazione principale degli italiani.

Ma credi che i social siano realmente un problema oggi? Facebook intendo, soprattutto. Non credi che il problema sia piuttosto legato all’uso che ne fa l’utente, che spesso e volentieri lo utilizza esattamente come se fosse una tivù, con l’aggiuntiva penosa consapevolezza di poter partecipare attivamente a qualsiasi discussione?

Per come la vedo io, si vota ogni giorno.

Le tue scelte interiori si traducono in azioni e quindi in abitudini che modificano il corso della tua vita e soltanto tu puoi puoi decidere quali sono le priorità della tua esistenza.

Infondo è tutta una questione di priorità.

Che posto dai alla tua libertà? Cos’è per te la libertà?

E il lavoro? Cosa sono per te l’amicizia, l’amore? Che valore dai al tempo libero?

Dallo stile di vita che hai scelto di seguire dipende la salute fisica e mentale tua e di chi ti sta accanto. E chi ha deciso di starti accanto è a sua volta responsabile del peso delle sue azioni e di come si riflettono nella situazione famigliare. Finché sono “costretti” a vivere all’interno del nido famigliare, creato dai due membri principali della coppia, i figli non hanno grosse colpe, visto che infondo non sono stati loro a decidere di venire al mondo. L’unica responsabilità dei figli forse è quella di imparare presto a pensare con la propria zucca e a non farsi influenzare troppo dalle idee dei genitori, in modo da avere tutto il tempo necessario per capire quali sono le loro inclinazioni da seguire e sviluppare. I genitori dovrebbero imparare ad essere delle guide e non dei despoti, come spesso accade, ma nemmeno dei rincoglioniti nelle mani ingenue ed arroganti del figlio viziato. Occorre un equilibrio. Un equilibrio che per forza può nascere solo

da una ricerca pregressa introspettiva che consente di trasmettere ai propri figli gli strumenti necessari per poter condurre a loro volta una propria ricerca personale verso le proprie vere aspirazioni. Seguire le inclinazioni dei bambini significa lasciare che crescano secondo le proprie attitudini, lasciargli la possibilità di essere ciò che sono.

E invece il più delle volte i genitori si scordano di essere prima di tutto degli esseri umani, si limitano a fare i responsabili, i gestori della vita dei figli, puntando il dito sulle nuove generazioni, ecc. Si invecchia dentro e succede proprio perché manca quella ricerca individuale pregressa.

Vuoi parlare d’amore? Non chiederti chi sposerai, chiediti prima di tutto se te ne dai abbastanza. Osservati, tieni d’occhio i tuoi automatismi, azioni spesso involontarie che fai per prassi senza un vero perché. Chiediti il motivo per cui prendi una decisione. Cosa ti spinge a farlo. Qual’è il criterio che utilizzi per dire sì oppure no. Chiediti se preferisci la compagnia di qualcuno soltanto per evitare la solitudine. Chiediti che cos’è la solitudine, se esistono vari tipi di solitudine. Non dare tutto per scontato.

E’ difficile vivere così? Certo che lo è se non te ne occupi oggi, lo diventerà.

Se non ti cerchi in questo mondo, in quale mondo ti cercherai?

Meno tempo dedicherai a te stesso e alle tue inclinazioni, a ciò che ti piace fare realmente, più tempo passa. E più passa il tempo e più si accumulano i danni da riparare, i quali prima erano dei sassi da scalciare ed ora montagne da scalare.

Insomma, prima incontri quel tuo io che tanto ti assomiglia e prima avrai l’opportunità di realizzare ciò che sogni, di crearti le condizioni affinché tutto quanto funzioni per il meglio. Niente di più concreto di questo, direi.

Ha senso lasciar marcire le tue aspirazioni nel profondo del tuo cuore accontentandoti dell’ombra dei sogni altrui e di una pizza tra colleghi? Quanto pensi di vivere? Ti hanno detto che la vita non è così lunga come può sembrare?

I sogni che seppellisci oggi un domani riemergeranno dal sottosuolo e in qualche modo te la faranno pagare. Sei tu contro te stesso.

Ora, riguardo le trivelle, io ho votato, e ho votato “sì”, nel dubbio. E non mi sento bravo. Ero pieno di dubbi. Quali dubbi? Beh, non saprò mai se la mia opinione conta veramente come vogliono farmi credere tra più ombre che luci. Non saprò mai se si tratta solamente di fumo negli occhi per illudermi di vivere in una democrazia mentre mi sta crollando il pavimento sotto i piedi. E questi dubbi non valgono solo per il referendum delle trivelle. Il mio era un pretesto per parlare della vita. Valgono per ogni tipo di questione sulla quale il popolo è “libero” di pronunciarsi.

Quando si affronta insieme alla popolazione un tema che riguarda l’ambiente occorre anche un programma politico sincero che parli di energie rinnovabili, che si decida una volta per tutte a fanculizzare i combustibili fossili e a proporre un’idea nuova di futuro, che ahimè non vedo nemmeno all’orizzonte, per ora.

Quello che penso io è che non basta dire stop alle trivelle per cambiare la mia vita e quella degli altri, oggi come oggi. Occorre usare il buon senso nella vita di tutti i giorni, e senza nemmeno pensarci troppo, dovrebbe essere innato in noi quel rispetto verso un’etica superiore.

Che poi l’ambiente, questo misterioso luogo di cui non vengono mai definite le sue dimensioni, la posizione geografica, siamo noi! Siamo noi l’ambiente! Lo volete capire? Siamo noi le discariche abusive! Siamo noi l’aria pura o putrida che respiriamo. Siamo noi il detersivo che gettiamo nel torrente. E’ una questione di rispetto verso noi stessi.

Si tratta di amor proprio. Quello di cui parlavo prima e che conduce la mente e il cuore verso una propria ricerca individuale che ci permette di essere sinceri con noi stessi e con gli altri e bla bla bla. Sono tutti ingranaggi della stessa ruota. Non c’è uno senza l’altro.

Basterebbe che tutti da domani usassimo la bicicletta? Non lo so, forse no, e dubito che tutto il mondo all’improvviso sia disposto a cambiare le sue abitudini e le sue miserie quotidiane, spesso inconsapevoli e imputridite dagli slogan mediatici che speculano su milioni e milioni di vite in nome dell’economia, di un’economia che non rispetta più alcun equilibrio umano.

Possiamo per lo meno imparare a chiederci perché facciamo una cosa?

Se parliamo di salute dico che è inutile continuare ad essere orgogliosamente carnivori o ingordi di alimenti industriali se poi ci lamentiamo dei nostri problemi cardiocircolatori. Ma è altrettanto inutile credere di vivere meglio solo per il fatto che siamo vegetariani, se poi il movimento fisico lo evitiamo per comodità, se il lavoro ci stressa, se la persona con cui abbiamo deciso di vivere ci rende infelici. E’ altrettanto inutile che mangiamo cibo vegano per rispettare gli animali se poi abbiamo paura che il cane sporchi in casa e lo facciamo vivere giorno e notte in cortile a morire di tristezza senza cagarlo mai. E’ inutile essere vegani, accusare di stregoneria chi non è come noi se poi abitualmente utilizziamo un mezzo che inquina alla follia e mette in crisi la nostra etica nonviolenta e solidale. Non è sempre così, ma questa è spesso l’umanità che incontriamo per la strada. Controsensi a manetta.

Ogni discorso è sempre più ampio e più importante di quello che sembra e che vogliono farci credere le chiacchiere da bar sui social.

Non basta un gesto eclatante per migliorare le cose e convincerci che siamo bravi.

Per debellare il male alla radice spesso occorre fare delle scelte radicali, occorre cambiare il nostro stile di vita, riconoscerlo e comprenderlo prima di tutto.

Occorre mettere in discussione tutto il nostro sapere, il nostro presente, il nostro concetto di utilizzo del tempo, il nostro approccio quotidiano ad ogni minuscolo aspetto della vita, senza aver paura di cambiare opinione quando aggiungiamo un nuovo tassello al nostro sapere. Chiederci il motivo per cui al volante della nostra auto decidiamo ad un certo punto di superare gli altri automobilisti rischiando la vita e mettendo a repentaglio quella degli altri.

Credo che il più delle volte quando ci sentiamo minuscoli e indifesi tendiamo a cercare la chimerica consolazione di appartenere a qualcosa più grande di noi con l’illusione di poterlo rappresentare in “totale libertà” e con la misera certezza di essere la voce di uno stesso coro e quindi di non rimetterci la faccia.

Dici che credi nella pace, lo sbandieri ai quattro venti sui social, centocinquanta persone ti mettono il like e poi magari sei il primo che si incazza e cerca la rissa se il vicino parcheggia l’auto dove avresti voluto parcheggiarla tu.

Dovremmo interrogarci in modo più approfondito su quanta coerenza ed ignoranza c’è nelle nostre piccole abitudini quotidiane.

Ognuno è libero di scegliere. E’ inutile che denunci il pressapochismo e il menefreghismo dell’italiano medio nei confronti della politica se decide di non votare, quando magari sei uno di quelli che scaricano i rifiuti in un prato lungo la provinciale perché non avevi tempo. Per fare un esempio banale. Anche questo è politica. Non è che sei giustificato perché hai votato SI al referendum sulle trivelle.

Magari l’astensione dal voto potrebbe essere una delle tante conseguenze della tua pigrizia, ma questo non significa per forza che non rispetti la libertà e la vita degli altri. Magari a differenza di chi vota tu ti impegni in altre piccole iniziative sociali che migliorano la vita di tutti e che nessuno prende in considerazione perché meno chiassose di un referendum popolare o di una grande iniziativa che fa più tendenza.

Chi sei per giudicare le scelte di un tuo simile quando tu magari sei il primo che di fronte a un problema giustifica le sue delusioni e basa ancora le sue scelte etiche su cliché, frasi fatte tipo “gli uomini sono tutti uguali”, “beato chi capisce le donne”, “più siamo meglio è”, scaramanzie e altre scemenza simili che ora non mi vengono in mente. Dovresti pensarci almeno due volte prima di attaccare qualcuno.

Ognuno deve vedersela con se stesso.

Troppo facile incolpare gli altri. Siamo dotati di libero arbitrio e ogni nostra azione quotidiana contribuisce a migliorare o a peggiorare la vita nostra e di chi ci sta intorno.

Non mi fido dei gruppi coatti, nei movimenti che reclutano adepti per “cambiare il corso della storia” perché non mi fido delle persone che non conosco. Non saprò mai esattamente perché ogni individuo all’interno di un gruppo decide di sostenere una determinata causa. Non saprò mai che cosa gli passa per il cuore e per la coscienza, se lo fa per se stesso o per chissà chi o che cosa. A me non basta sapere che lo fa.

Mi fido di chi mi ispira, di chi con poco mi emoziona e mi trasmette sincerità e lungimiranza attraverso il suo stile di vita, del suo approccio alla quotidianità. Mi fido del perché un individuo decide di fare una cosa e di come la fa.

Tutti sappiamo quello che facciamo, ma pochi sanno come e perché.

Perché esisti? Perché ti svegli la mattina e fai quella determinata cosa? E a chi dovrebbe importare di quello che fai? Ognuno di noi dovrebbe essere il leader di se stesso prima di pretendere di esserlo fuori. Ognuno di noi prima di aderire a qualcosa o a qualcuno dovrebbe aderire a se stesso. Ci sono persone come frequenze radio, che intercettiamo senza il bisogno di schiacciare alcun bottone. Ci posizioniamo sulla loro frequenza per sempre perché crediamo nella loro idea, nel loro modo di vivere. Non è un’unica loro azione che ci convince ma l’universo che c’è dietro quella persona, quel cuore e quella mente che generano l’idea che si traduce in azione.

Credo che questo concetto valga per tutto, sia negli affari che nella vita in generale.

Mi fido di chi mi ispira perché riesce a trasmettermi la giusta carica per affrontare la mia vita e a credere in quello che faccio perché se il punto di partenza è un certo tipo di solitudine consapevole, come ho sempre sostenuto, allo stesso tempo è anche vero che una certa collaborazione aiuta a raggiungere più in fretta i propri obiettivi.

Collaboreresti con chiunque pur di raggiungere un certo risultato? Io no.

Mi fido di me stesso perché da quando mi frequento abitualmente riesco a confessare allo specchio dell’anima ogni mia mancanza senza nascondermi nulla. E l’ho imparato sbagliando, spesso giudicando, ma posso fare ancora meglio. Non si smette mai di imparare, come si dice. Quando arrivi al punto in cui non ti sopporti più allora qualche domanda te la devi fare. Devo restare a questo mondo per fare cose che non mi piacciono, continuando a lamentarmi tutto il giorno, prendendomela con il primo che mi capita sotto tiro o faccio qualcosa per migliorare la mia condizione esistenziale e per capire come mai mi faccio schifo e rovino inutilmente la vita degli altri?

Non basta dire “sono fatto così”. Troppo facile ed inutile.

Credo nei gruppi e nei movimenti spontanei che non indossano per forza una divisa o un’etichetta per rappresentare le loro idee. Credo nello sforzo di cambiare ogni giorno me stesso unendomi caso mai a persone che possono aiutarmi a crescere per assomigliare sempre di più alla persona che sono, che posso diventare e che soprattutto mi rende felice e in pace con me stesso nonostante tutto e di conseguenza nei confronti del prossimo.

Credo in un percorso il cui punto d’arrivo non conferma per forza gli sforzi fatti lungo il tragitto, come ho già detto. Credo in un percorso dove la meta è il viaggio in quanto la sua autenticità riesce a regalarmi gli stimoli che mi consentono di procedere verso il gran finale.

Comunque vada sarà un successo.

Se non sono sincero con me stesso, nonostante le mie azioni suscitino il plauso di chi mi circonda, non sarò mai soddisfatto, di conseguenza non sarò sincero con gli altri. Difficilmente mi accontenterò di ciò che possiedo e che non sono diventato e prima o poi questa mia mancanza verrà allo scoperto, quasi sempre nel peggiore dei modi e spesso nel momento sbagliato.

Più tempo lascerò passare senza mai affrontare i miei angeli e i miei demoni e più vuoti si accumuleranno nel corso della mia esistenza. Funziona un po’ come con i debiti con la banca.

Mi fido nella buona volontà di un individuo capace di trasmettermi determinati stimoli, tramite il suo amor proprio e non per l’amore che dimostra al gruppo a cui appartiene, dietro la cui etichetta potrebbe nascondersi di tutto e di più.

Non mi fido di un individuo che prende parte ad un movimento soltanto per riempire un vuoto personale e per cancellare i debiti che ha con se stesso poiché nessun movimento può pagare i suoi debiti al posto suo.

Un gruppo o un movimento sono originali e spontanei quando ogni suo membro è in grado di portare qualcosa di originale attraverso le sue idee, piccole o grandi che siano.

Tutti facciamo qualcosa per noi stessi, per rispondere a un nostro bisogno interiore. Non si tratta di egoismo. Anche quando crediamo di dedicarci al prossimo, in realtà lo facciamo per dedicarci a noi stessi. Quando diciamo “non fare agli altri ciò che non vorresti venisse fatto a te” non significa che tieni più agli altri che a te stesso, ma semplicemente che attraverso la tua percezione del bene e del male ti sei fatto un’idea di come potrebbe sentirsi il prossimo che riceve un certo trattamento e per rispetto nei confronti di ogni essere umano decidi di risparmiarglielo. E capire questo ti fa stare bene al di là di tutto. Hai a cuore la salute degli esseri umani perché credi in un’etica sopra le altre che fa stare bene prima di tutto te e ti consente di vivere in un ambiente sano che segue il tuo esempio. Però che gli altri ci credano o meno in questa etica poco ti importa. Basta che ci credi tu, se ci credi seriamente e spontaneamente intendo.

Lo facciamo per sentirci utili. E’ questo infondo che ci rende felici. Ma è una questione personale. E il fatto di sentirci inutili spesso ci fa entrare in crisi, ci fa conoscere alcuni lati oscuri ed imprevisti del nostro essere, the darkside of the moon, pericolosi ma allo stesso tempo indispensabili per la nostra salute, per raggiungere una certa consapevolezza e quindi indispensabili anche per la nostra crescita interiore. Ma invece di approfittare della crisi personale spesso ci accontentiamo fare qualcos’altro, di una distrazione momentanea, di badare a qualcuno, pur di liberarci momentaneamente dal demone dell’inutilità.

E se ti importa ed agisci per cercare un tornaconto o una qualsiasi gratitudine significa probabilmente che il tuo intento è diverso da quello che appare. Ci sono un sacco di sfumature in ogni nostra azione, potremmo riempire volumi e volumi se adesso stessimo qui ad elencare caso per caso, giudicando il migliore e il peggiore. Fatto sta che nonostante tutto, nasciamo soli e moriamo soli. Disponiamo di una sola coscienza e di un solo corpo. Più tempo dedichiamo alla ricerca interiore, più riusciamo ad essere sinceri con noi stessi. Più diventiamo sinceri con noi stessi e più ci avviciniamo all’essere umano libero che tutti vogliamo incontrare e che il più delle volte invece resta intrappolato nei meandri dell’idea collettività, nei pregiudizi e trova più comodo lamentarsi della propria condizione esistenziale anziché cercare di cambiarla. Più saremo soddisfatti di noi stessi e più saremo in grado di ispirare il prossimo a seguire il nostro esempio.

Questo è il vero amore nei confronti del prossimo.

Questo è il vero insegnamento. L’amore verso noi stessi mette in moto una ruota inarrestabile di soddisfazioni.

Dunque, tutti votiamo. Ogni giorno. Poi i singoli appuntamenti alle urne sono solo una minuscola parte di quel che ogni singolo individuo può determinare attraverso le sue azioni per modificare la propria vita e di conseguenza quella degli altri.

Ogni individuo di fronte ad un problema, nel momento in cui deve prendere una decisione dovrebbe semplicemente pensare a cosa può fare per risolvere quel problema e cosa non può fare. Stilare un elenco delle soluzioni possibili per risolverlo. Tutto il resto non conta. Tutto il resto sono solo pensieri inutili che si traducono in polemiche e stracci di pensieri, ulteriori ansie che sporcano la mente e che complicano il processo cognitivo allontanandoci sempre di più dalla soluzione possibile.

Occorre lucidità.

E’ vero, la vita cambia, spesso ci mette di fronte a scelte difficili da prendere. Spesso sbagliamo e non possiamo essere perfetti. L’importante è affrontare anche gli imprevisti con una certa lucidità, e per essere lucidi occorre essere svegli, che non vuol dire essere furbi ma ragionare attraverso la propria coscienza cercando di valutare la situazione per quello che è senza restare intrappolati nella miseria dei pregiudizi o nella gabbia costruita da chi “alla regia” preferirebbe seguissimo una certa direzione per i propri vantaggi personali.

Occorre dare il nome giusto ai propri problemi. La voglia di stare con una persona non è sempre amore, a volte è paura di restare soli. Che è ben diverso. Voler bene a un cane non significa sempre saper amare i cani o gli animali in generale, c’è chi usa l’affetto di un cane per rimpiazzare l’assenza di una persona o di qualcos’altro. Questo è amore? Non credo proprio.

Nulla va dato per scontato. Non sappiamo mai abbastanza per poter dire di essere sufficientemente adulti.

Occorre imparare a distinguere il bene dal male e non è facile distinguere se ci facciamo persuadere dai troppi input quotidiani che ci distraggono dai nostri veri bisogni interiori.

Quali sono i tuoi bisogni interiori? Solo tu lo puoi scoprire, se vuoi raggiungere una certa serenità mentale e fisica che ti permetta di affrontare con una certa lucidità anche gli imprevisti. Come vedi, metaforicamente parlando, il quadro che ci si presenta davanti è una sorta di catena di montaggio il cui prodotto finale dipende da ogni piccolo passaggio durante il processo di lavorazione. Gli errori sono ammessi lungo il percorso, come già detto e se l’analisi è giusta e di conseguenza sappiamo ciò che vogliamo da noi stessi e la priorità che diamo ad ogni singolo aspetto e bisogno della nostra vita per mantenere viva l’armonia, l’equilibrio tra anima e corpo. In questo modo gli errori saranno un’opportunità per migliorare o la cenere da cui poter rinascere più forti di prima.

Quello che voglio dire è che non dovete sentirvi liberi soltanto quando andate a votare o quando decidete di astenervi.

Prima di occuparci delle trivelle, o di qualsiasi tema di attualità occorre conoscere la quotidianità in cui viviamo, la nostra attualità, le persone che frequentiamo e soprattutto il perché dei nostri comportamenti di fronte alle circostanze della vita.

Memoria dimessa

Children Participate in Annual Training During Kids AT

Da bimbo andavo a messa

per ridere fino a scoppiare

sottovoce,

per ammirare i vetri cattedrale

e per ascoltare

le dentiere degli anziani

che sibilavano preghiere.

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Partenze e destinazioni

sogni

I tuoi sogni sono la giusta direzione.
E senza badare al tempo speso,
il cammino intrapreso è già un traguardo,
un successo inatteso.

Questo folle sentimento che

Nella maggior parte dei casi, in una giovane coppia gli opposti si attraggono per carenza di autostima, di auto-conoscenza e per noia. Con il passare del tempo, man mano che la consapevolezza cresce, ammesso che cresca in ogni individuo, chi si basta, cerca un suo simile oppure preferisce stare da solo.

 

Il Verso del Cane

Un grande ringraziamento va al mio amico artista Gionata Brandolin per questo suo articolo che mi ha davvero commosso e onorato. Seguite il suo blog! Ne vale la pena!

Cibo matto

La maggior parte della gente ha bisogno di nutrirsi di violenza.
E’ normale che ti attacchi in quel modo, verbalmente.
Quel tipo di gente detesta le persone ragionevoli perché la ragione é un veleno per il suo “cibo” preferito, la violenza appunto.
Ma anche per la distrazione.
La pazienza é invece sinonimo di debolezza, per qualcuno.
Per fortuna io, quando non capisco, sto zitto e mi metto a giocare, come da piccoli, quando avevamo già capito tutto.

 

– C. Camaur

(S)Comodità

Vale la pena fare ciò che non si ama?
No.
Poi vengono i “ma” e i “però” ma una cosa è certa, a nessuno piace fare una cosa controvoglia.
Nemmeno a chi si autoconvince ogni giorno che la vita debba andare così.
Spesso è semplicemente più comodo
fare qualcosa che non ami piuttosto che analizzarti e cercare di soddisfare le tue inclinazioni.
È la paura che conduce l’uomo a fare certe scelte.

                                      – C. Camaur

Uno stralcio da “Sopraconvivenza” dal mio libro “Il verso del cane”(CLICCA SULL’IMMAGINE)

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Uno stralcio da “Guaiti” dal mio libro “Il verso del cane” (CLICCA SULL’IMMAGINE)

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Incoscienti eredità

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Seguendo costantemente
per generazioni
uno schema prestabilito, un ideale, un automatismo,
senza mai metterlo in discussione,
senza mai uscire dai binari della prassi per evitare il rischio
di commettere un errore ed essere emarginati,
si finisce per tollerare qualsiasi orma di schiavitù,
anche la più perfida e palese,
trovandole addirittura un significato etico,
convincendosi che nonostante tutto
sia cosa buona e giusta.

Teenhaters

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L’adolescenza è strana.

Una spada a doppia lama,

è lo sfogo dei complessi,

trascurati in una posa

ad ogni costo.

Quando vi vedo

forti e persi

nel respiro di una cicca

nel messaggio di un’amica,

soffro.

Ci son passato anch’io.

Vorrei aiutarvi

Liberarvi

ma non posso.

La natura fa il suo corso.

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Anche il sieropositivo che infetta a random per vendetta.

Che notizie, ragazzi. Sì vabbè, ormai siamo vaccinati, non ci dovrebbe sorprendere più niente. Ma questo non significa che la nostra mente si stia evolvendo e si sia creata un nuovo tipo di anticorpi. Tutt’altro mi sa. È un po’ come quando il fegato si abitua agli effetti devastanti dell’alcol: apparentemente è più comodo, se sbronzarti è diventata un’abitudine ed il fegato ha raggiunto un livello tale di tolleranza che quando ne bevi a secchiate non passi più l’intera nottata come prima a sboccare l’anima, ti senti forte e invulnerabile “finalmente” ma la verità è che il fegato sta andando a farsi fottere lentamente, si sta intossicando e intossicando le cellule.

Io credo che tutte queste brutte notizie che sentiamo quotidianamente, pian piano ci stiano raffreddando a livello sensoriale, emozionale, e stiamo diventando sempre più razionali, calcolatori, ci stiano lentamente trasformando in cyborg pronti a tutto, incapaci di reagire emotivamente di fronte a scene agghiaccianti come quelle di corpi senza vita stesi a terra, che in teoria dovrebbero farci rabbrividire. Ma è la loro cadenza giornaliera a fare in modo che ci abituiamo senza quasi reagire, per chissà quali strani meccanismi mentali. Forse è per questo che sono sempre più in aumento tra noi, coloro che non si fanno molti scrupoli con un coltello in mano davanti alla propria fidanzata o ad un poveraccio per la strada, il cui errore mortale magari è stato quello di non dare la precedenza.

Come si può uscire da questo vortice di negatività?

Dobbiamo restare calmi, cercare a tutti i costi la pazienza, al di là della materia, del denaro, se desideriamo vivere e continuare a farlo per il resto dei nostri giorni, sensatamente e in maniera sana.

Abbiamo smesso di cercare le risposte dentro di noi. I miei nonni a modo loro lo facevano ancora, nonostante tutto. Nonostante la guerra, la miseria.
Questo ci manca. La capacità di cercare le risposte dentro di noi e non attorno a noi, perché appena cerchiamo una risposta veloce all’esterno troviamo la fretta e sua figlia, la violenza. Nient’altro.
Ritrovare la forza per andare avanti nel rapporto tra noi e il nostro spirito, per superare le difficoltà e contagiare di positività e saggezza il prossimo e tutto ciò che ci circonda.
Chi lo deve fare se non noi?
Devi rappresentare il mondo che cerchi, e non fare schifo a tua volta.

Ma come può una persona infetta (contagiata lei stessa precedentemente da un rapporto occasionale), decidere di vendicarsi del danno subìto, infettando decine di ragazzi tra i 15 e i 24 anni per autoassolversi???
Ma stiamo scherzando? Davvero non vi fa nessun effetto una notizia del genere? Negli anni ’80 e ’90 ci saremmo quanto meno scioccati e lo shock sarebbe durato per settimane.
Oggi è tutto così normale.

Siamo ormai talmente soli ed esuli individualmente, per forza di molte cose, che quando ce la prendiamo non cerchiamo un unico responsabile (anche perché il più delle volte non si dichiara) e finiamo per prendercela con l’esistenza intera, che nella nostra mente si presenta come una massa inquantificabile di persone che complottano contro di noi.
Sono brutte malattie. E non parlo dell’aids.

questa è la terza guerra mondiale.se non la vedi è perché si sta combattendo dentro di te,dentro ognuno di noi. (1)

 

Quel piercing triste da paura

Woman_with_hazel_eyes_and_labret_piercing_gazes_at_the_cameraOggigiorno capita, non sempre, ma spesso, che un piercing, il più delle volte facciale, diventi l’unica libertà che una donna sposata o comunque seriamente impegnata possa permettersi. Un palliativo. Quel piercing nella sua mente diventa simbolicamente la sua arma di difesa contro tutto ciò che insieme al partner ha creato e che ogni tanto a fatica riesce a reggere o a riconoscere. E’ un simbolo di “ribellione” un po’ nascosta, intima, personale, e ahimè, probabilmente l’unica ribellione che ha il coraggio di sostenere.

E un altro Natale (…se lo semo lev..)

RSCN3066 (2)Ebbene sì, cari blogger e non. Un altro anno insieme è passato. Non voglio prendervi troppo tempo perché probabilmente vi starete concentrando sul fatidico pranzone!

Vi aggiorno sulle ultime!

– Sto continuando a scrivere il mio prossimo libro, che non vede ancora una fine concreta perché sono talmente tanti gli elementi che voglio inserire che non posso anticipare nulla, sicuramente entro il termine del 2016 sarà pronto. In realtà i libri saranno due: un saggio un po’ particolare ed una nuova raccolta di poesie.

Sto lavorando inoltre per la creazione di un sito personale con qualche novità in più per voi! Ci sarà molto da fare ma con la calma, passo dopo passo, con pazienza, restando sulla giusta strada, arriveremo alla meta!

Ma nel frattempo VIVIAMO!

Ma non perché è Natale ma perché la vita è un’esperienza entusiasmante, basta solo cercare un approccio sincero, imparare dagli errori seriamente, ma mantenendo sempre una certa distanza di sicurezza dal nostro io e da tutto il resto, in modo da prendere le giuste decisioni, per noi stessi prima di tutto, e di conseguenza con gli altri. Perché ricordatevi che se non si è in pace con sé stessi è INUTILE fare i generosi, gli altruisti, NON SIETE CREDIBILI! E non eviterete i vostri conflitti interiori.

Essere sinceri con noi stessi a Natale e tutto l’anno, magari cominciate con il 2016, se finora avete esitato, è la più grande forma di altruismo e il più grande regalo che potrete fare agli altri.

Viviamoci questo Natale e l’attesa di questo nuovo anno che sta per arrivare!

VI AUGURO:

– di realizzare i vostri sogni

– di continuare a seguire le vostre passioni per uscire dalla crisi economica, spesso ricca di speculazioni e false immagini; dalle crisi personali, poiché solo voi lo potete fare! Se seguirete le vostre passioni non vi servirà inseguire i sogni perché saranno i sogni a trovarvi!

– di non riporre le vostre aspettative sui politici, su leader o guru, ma di costruirvi una vita vostra, con calma, passo dopo passo, un percorso magari lento ma personale perché si arriva ovunque, se lo volete, se vi saprete accettare e se saprete accettare un cambiamento netto sempre più necessario per migliorarvi ed essere felici.

– di costruirvi questa felicità: ricordatevi che la felicità è uno stato mentale, una dimensione. La felicità siete voi, se lo volete e se creerete le condizioni per esserlo.

– di credere in voi stessi, se non lo fate voi, non lo farà nessun altro.

– di contare solo sulla vostra opinione e non su quella degli altri. Ma senza dimenticarvi di ascoltare. Saper ascoltare è importante, oltre che intelligente.

– di crearvi le condizioni necessarie per agire in totale tranquillità in modo che nulla e nessuno contamini o influenzi il vostro operato, le vostre idee, i vostri sogni.

BUON NATALE! E SE NON CI LEGGIAMO, BUON 2016!

Tazza di Te

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Mi inebrio dei momenti


in presenza di te


in cui vibrano i silenzi


di bollenti sapori


tra le essenze di una tazza di parole


cariche di incensi,


assaporo tè.

 

[Dal mio libro “Il Verso Del Cane” (new edition)]

[Dalla brutta copia del mio prossimo libro]

. . .Il sistema in cui viviamo è storto, è una rete infinita di distanze fisiche e mentali. Una massa che condivide una libertà costretta. Stiamo vivendo a metà, la nostra vita è fatta di carne e dati. E per tutto il resto c’è Mastercard.

…Siamo un arcipelago immenso di infinite piccole isole pronte a raggiungersi a qualsiasi distanza grazie alla tecnologia, in cambio di milioni e milioni di sfumature abbandonate in un dimenticatoio, in una soffitta tra la polvere e le ragnatele come qualcosa di superfluo, che non serve più, passato di moda, come la gentilezza.

…Quando mi capita di acquistare qualcosa in uno dei più recenti modelli di supermercato, magari all’interno di un centro commerciale, tralasciando già l’idea dell’introduzione della cassa automatica che mi crea squilibri cerebrali e fisici, noto che mi perdo. Mi perdo sul serio! Nella quantità inutile di cibi inscatolati mi perdo, che non trovo per nulla comoda e che l’unico consiglio che mi arriva è quello di uscire. Per come la vedo io, quella non andrebbe chiamata vasta gamma di prodotti bensì vasta gamma di spreco.

…Ogni scelta quotidiana individuale va ad incidere su un certo tipo di modello e di sviluppo sociale trasformandosi in grande iniziativa collettiva o in disastro. Basterebbe veramente poco per risolvere un sacco di problemi sociali ed economici. Qui si continua a parlare di quantità. Io voglio che si inizi a parlare di qualità, di personalità, di identità che unite si trasformino in collettività senza leader ma con un’etica superiore alle altre che è quella del buon senso.

…Dovete pensare a che cosa vorreste dare la priorità, se a voi stessi o alla casualità. Dobbiamo pensare in piccolo. Capire chi siamo nella nostra sotanza non significa solo uscire dagli schemi per il gusto di farlo e basta. Significa prendere in mano il telecomando della nostra vita, significa aggiudicarci il tempo necessario per raggiungere una certa consapevolezza di chi siamo, dei fatti quotidiani, di come si muovono le persone e il mondo intero. Significa accorciare le distanze tra noi e chi amiamo. Significa capire noi stesi attraverso anche gli altri, significa raggiungere un livello più umano di comunicazione fatto di tranquillità, senza sentirci in continuazione la pistola della fretta puntata alla nuca pronta a premere il grilletto ad ogni nostra minima sosta. Ecco, riacquistare il comando del respiro non è male come immagine. Lo possiamo fare. Il respiro è la base della vita.

Di notte

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Nei talkshow, nei tg, la sera, la notte, si parla, vagamente di come vanno le cose, di come le cose dovrebbero andare e di come le cose non andranno mai. Perché il senso di giustizia di chi parla e la rabbia di chi segue, accumulata dopo una giornata spesa nel nulla di un’occupazione che non lascia spazio alle emozioni, sempre più precaria o di una disoccupazione colmata dalla noia suprema, si spengono assieme alle luci delle case, al frastuono e al grigiore policromatico della tv, la notte.

APPUNTI DI OGGI:

Riappropriarci del nostro tempo, e quindi della nostra esistenza, è l’unico modo per adattarci reagendo a ciò che sta succedendo attorno a noi, e renderlo migliore.

Il programma 2015

Ospiti niente male, direi! Che ne dite? Se avete la possibilità di passare in Friuli tra il 20 novembre e l’8 dicembre vi consiglio di fare un salto a CORMONS LIBRI!

Parigi…e spiritualità sotto attacco

money, god, religioni, dio, terrorismo, isis

Succedono fatti strani con retroscena complessi e raccapriccianti, tradotti con una tale semplicità da post e commenti sui social, di un putridume e di un’agitazione spesso più penzi dei fatti stessi.

Allah è grande. Cristo è grande. Yahweh è grande. E chi più ne ha più ne metta.

Gli dei ci sono. Ce li abbiamo. Non ci mancano proprio, non vi è dubbio.

Ci battiamo in loro nome, uccidiamo ed amiamo in loro nome.

Del resto succede la stessa identica cosa anche nello sport e nella politica. Le stesse identiche dinamiche.

Non percepite un certo fil rouge devastante in tutto questo tifo (leggi il mio articolo Malati di tifo) costante che miete vittime e promuove atrocità all’ordine del giorno?

Dunque, dov’eravamo rimasti? A “Gli dei ci sono”. Non ci mancano. Soprattutto il “DIO DENARO” sicuramente c’è. Dio denaro c’è! Lo potrebbe urlare anche Guido Meda. E’ il dio denaro che ci fa stare tranquilli, che spesso ci fa e poi ci accoppia. In questo caso ci fa e ci accoppa. E’ lui il dio che ci sorveglia giorno e notte e guida le nostre più umilianti e subdole azioni quotidiane.

Le religioni non ci mancano. C’è un assortimento di dei e religioni che nemmeno al centro commerciale sotto Natale. Ognuno di noi (non guardate me) ne sceglie una e la fa sua.

E’ palese che tutto ciò che vogliamo da una religione, dall’ossessione per una squadra o per un partito, è solamente un bastone “morale”, che ci faccia sentire meno fragili di quel che siamo, ci regga in piedi, perché da soli non ce la facciamo.

Quello che ci serve e che manca ultimamente, a livello mondiale, si chiama SPIRITUALITA’.

-RELIGIONE +SPIRITUALITA’ vorrei che fosse il motto.

La vera spiritualità non sarà mai un bastone perché è sincera e nasce dentro di noi. Non la si trova nelle statuine sui comodini e nei ponti tradizionali tra noi e l’aldilà.

La spiritualità non risiede in un nome o in una bandiera. La materia non vi può far conoscere la vostra spiritualità.

Saremmo noi la nostra spiritualità una volta recuperata dentro, frequentata e conquistata. Noi il nostro dio. La rappresenteremmo, la spiritualità. Senza chiacchiere da bar o da dopo-festival.

Ma che rapporto avete con voi stessi, con ciò che avete dentro e che prima o poi si rivela?

Ci vogliono forza di volontà, autocritica, autoironia, pazienza e umiltà. Non la si trova dietro l’angolo o in tv, la spiritualità.

Dovete muovervi adesso se cercate SERIAMENTE un mondo migliore e una speranza, che sfugge sempre davanti ad immagini abominevoli come quelle di ieri notte da Parigi. L’unica dimensione umana di cui dovremmo sentirci parte è la nostra spiritualità. Quel “mondo migliore” che tanto reclamiamo di fronte alle barbarie è lo stesso mondo che dovremmo rappresentare e promuovere nelle nostre piccole scelte interiori quotidiane. 

Ma come pensate di risolvere tutto schierandovi dalla parte di qualcuno?

Non avete ancora capito chi sono gli imbonitori?

Meditate.

Pace.

CITAZIONI:

“L’evoluzione sociale non serve al popolo. se non è preceduta da un’evoluzione di pensiero.” (Franco Battiato)

“The revolution will not be televised” (Gill Scott Heron) Continua a leggere

L’impiccagione del cuore

Tra le colline rilassate

del tuo petto

percepivo l’aria fredda

nell’inverno del tuo sguardo

in contrapposizione

al calore nell’inferno del mio caos

Appeso

oscillava questo cuore

verso sera

Tra un sabato e un giovedì

ritornava il medioevo

tra gusti e amplessi consueti

che non riconoscevo.

                               

-C. Camaur

I 10 comandamenti per una vita più sincera e felice

1  – Spegnete la tv

2  – Fate l’amore

3  – Parlate con gli amici

4  – Amate chi suona

5  – Scrivete poesie

6  – Guardate il cielo

7  – Camminate nei boschi

8  – Spegnete i cellulari

9  – Comprate i dischi

10 – Perdete tempo

Appartenenze

Non mi è mai interessato appartenere

a quelli della notte.

A quelli del giorno.

Ai buoni.

Ai cattivi.

Né a nessun altra categoria.

Non mi è mai interessato appartenere.

Non ho mai avuto l’età.

Forse solo per un momento.

Quel che bastava per sentire la mia mancanza.

                             

 -C. Camaur

Pasolini, “un frocio in meno”.

“Un frocio in meno in Italia” si pensava e si diceva così all’epoca, per la strada e in tv, dopo la notizia del ritrovamento del corpo massacrato di Pier Paolo Pasolini.

Io non c’ero, me l’hanno raccontato. “Un frocio insolente, bastian contrario per vocazione, triste, pessimista e per giunta sporcaccione”.

Da quel lontano 2 novembre 1975 sono trascorsi quarant’anni di buio assoluto.

Ogni tanto giusto qualche indizio, qualche sospetto.

Ci hanno spinto in quella solita sala d’attesa in cui abbiamo tutto il tempo per riflettere e capirci niente. Una democrazia vigilata che ci rende partecipi ed ininfluenti. Giusto per tenerci lì, per dimostrarci che in qualche modo lo Stato è presente, che nella fattispecie “si continua ad indagare” e che è davvero difficile scovare questi cattivi sempre così astuti, che non lasciano mai tracce del loro passaggio specialmente se si tratta di vicende in qualche modo vicine alla politica e all’informazione nazionale. Ma è solo “un caso”.

Ed eccoci qui. Oggi finalmente ci dicono la verità su Pasolini.

Già, ma quale verità?

Quella che non da fastidio a nessuno ovviamente. Una mezza verità. Quella che parla della sua integrità morale, delle sue intuizioni avanti anni luce rispetto ai tempi, della sua versatilità culturale, della grande passione per la vita e per l’arte in generale, attraverso la quale cercò di esprimere al meglio la sua insaziabile curiosità nei confronti dei cambiamenti della società italiana. Tutto vero. Sia chiaro.

Fantastico.

Finalmente anche i media confermano in ogni salsa la sua grande umanità e sincerità, come pure la consapevolezza generale di aver perso non soltanto un grande uomo ma un vero e proprio profeta.

Lo possiamo finalmente ammettere?

Certo che possiamo. Tutti possono farlo. Tanto ormai è morto. A chi può dare fastidio una tale notizia?

E quale notizia potrebbe dare fastidio invece?

Senz’altro quella che riguarda la sua morte più che la sua vita.

Il perché e il chi.

Pasolini se n’è andato. Ma le persone che probabilmente sanno qualcosa forse alcune di loro sono ancora vive e magari continuano a ricoprire cariche istituzionali o in qualche maniera posizioni ancora colluse con l’attuale scena politica e di conseguenza aprire il becco significherebbe scandalosputtanamento totale e arresti…quelli forse.

L’omaggio mediatico a Pasolini non è altro che un’ennesima sala d’attesa.

Ci vogliono convincere che l’informazione è sempre più trasparente e democratica e che sarebbe poco furbo coprire certe palesi verità all’epoca di internet dove ormai tutti, chi più chi meno, conosco l’ iconica figura di Pasolini.

Fatto sta che l’inchiesta è chiusa.

E nessuno ha ancora capito chi l’abbia ucciso e perché.

Ma tutto questo è normale? Forse in Italia, sì. Lo è.

Ci basta omaggiarlo.

Qui è sempre tutto normale. Ci si abitua a quel tipo di normalità, di scabrosa mediocrità, di retorica, soprattutto quando a rimetterci sono i più “deboli”. Siamo costretti ad abituarci ad un certo pressapochismo. Come ci hanno da sempre abituato a concepire questa nazione come una democrazia.

Siamo liberi. L’importante è però non oltrepassare i limiti…Pasolini insegna.

E non solo lui. Falcone, Borsellino, Impastato, sono solo alcune vittime di quell’omertosa normalità a cui ci hanno abituato da decenni.

Ma perché poi farsi tante domande, infondo, perché vuoi che l’abbiano ucciso Pasolini? Era un frocio saputello, ecco perché! E pure rompicoglioni! Se l’è andata a cercare!“.

Oggi non si dice più così.

Oggi non c’è bisogno di attaccare pubblicamente le inclinazioni sessuali di un personaggio popolare per infangare la sua immagine. Anzi, finisce che ti scavi la fossa con le tue mani (Vedi Tavecchio).

E’ per questo che non si usa più. Mica perché l’omosessualità sia stata sdoganata! Tu lo credevi!

E’ sufficiente limitarsi ad ignorare.

La società italiana, secondo te è cambiata? Siamo migliorati?

Siamo davvero consapevoli del reale ruolo centrale di Pasolini nella cultura italiana del 900?

Possibile che ancora oggi nessuno faccia un passo indietro?

Come mai nessuno parla? Siamo proprio sicuri che nessuno “sappia”?

L’ennesimo segreto di Stato.

Continuiamo a ricordarlo a livello mediatico, come continuiamo a ricordare tutte le altre vittime innocenti messe a tacere palesemente dalla manovra Stato-Mafia che non ammetterà mai le sue colpe perché ancora oggi agisce sotto falsa identità. Una banda che non uccide più ma che continua a colpire, a coprire e a muoversi nel “sottosuolo sociale” italiano. 

Fa davvero specie che l’omaggio mediatico ai personaggi scomodi sia puntualmente postumo.

Proprio come fa la mafia nei film, che partecipa ai funerali delle proprie vittime, per esprimere il proprio cordoglio senza insospettire nessuno.

Siamo tutti colpevoli.

Briciole (dalla brutta copia del mio prossimo libro)

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L’oblio delle nuove generazioni, tra passato e presente

Tecnologia sì, tecnologia no.

Conservatori contro progressisti.

Vecchie generazioni contro nuove generazioni.

Per chi sta in mezzo, come me, è sempre difficile prendere una decisione, capire se sia meglio stare da una parte o dall’altra.

A parte il fatto che schierarmi a tutti i costi non mi è mai piaciuto perché odio catalogare le cose e le persone, anche se spesso mi spingono a farlo, e odio essere catalogato, come fossi una merce. Credo inoltre che esista sempre una sana via di mezzo che allontani ogni estremismo ed inutili fanatismi.

C’è chi crede che il passato sia sempre meglio del presente. In parte lo penso anch’io. In parte invece no.

C’è chi crede che i social network siano una merda e chi invece non riuscirebbe ormai a vivere senza. Per quanto riguarda i social ritengo siano anche utili se utilizzati nella giusta misura, con criterio e con uno scopo preciso: per pubblicizzare per esempio un proprio prodotto, per condividere informazioni ed opinioni che potrebbero servire a più persone, specialmente quando si tratta di una condivisione circoscritta alla città in cui si vive, in cui un problema è concretamente risolvibile e non ci si limita ad inutili conclusioni e chiacchiere con il commento del commento del commento. Per un po’ di tempo ho pensato anche che i social fossero una merda, che rendessero le persone schiave di un “mi piace” e di una condivisione scriteriata della qualunque, per sentirsi meno soli. Che poi è vero. Ma se la gente si sente in dovere di condividere ogni cacata, a dismisura, senza badare mai alla qualità del contenuto significa semplicemente che la loro vita fa un po’ schifo e soprattutto che la merda non sta nel mezzo bensì nella testa delle persone.

C’è chi si batte contro la tecnologia di nuovissima generazione, contro tutto ciò che è digitale ma soprattutto contro tutto ciò che non è più analogico, con l’idea fissa in testa di salvare e salvaguardare un passato, una tecnologia un po’ più macchinosa e demodè, spesso meno comoda di quella odierna ma, ciononostante, pregna di identità, dignità, di storia e anche durabilità. Tra questi crociati trovate anche il sottoscritto, il quale però come al solito tende ad essere un po’ più “paraculo”, restando a metà strada tra le due visioni del mondo, cercando un equilibrio e una tregua tra i due fronti. Non ritengo che la nuova tecnologia sia il male peggiore come molti la descrivono e nemmeno che debba sostituire l’analogico a tutti i costi. Il sottoscritto è convinto che tutto possa coesistere a patto che ci sia appunto questo benedetto equilibrio, un’educazione all’acquisto, un limite e un criterio nell’uso degli strumenti, vecchi o nuovi che siano affinché una passione o un ideale non si trasformino in una mania intransigente o in mero collezionismo.

La questione invece che riguarda la presunta insensibilità, il pressapochismo e la superficialità da parte delle nuove generazioni nei confronti della cultura e dell’intrattenimento deriva da una “legittima” ignoranza causata da uno stile di vita frenetico, stabilito e preteso dalla civiltà dei consumi che tende a correre sempre più in fretta e che evidentemente non lascia ai ragazzi lo spazio ed il tempo necessari per respirare, per gustare le cose e per capire che esistono sempre un passato, una storia importanti che precedono le nuove tecnologie e questo sviluppo così tanto ambito dall’economia dei miei coglioni e idolatrato ignorantemente dai consumatori seriali.

Musica, film, videogames, libri, computer. Di tutto ciò, tendenzialmente le nuove generazioni conoscono molto bene la parte più superficiale, che pone l’immagine al centro di tutto e che quindi arriva prima, senza troppi sforzi. Non conoscono il prcedimento, il percorso, l’evoluzione che precedono le loro tendenze. Non sanno dove, come e quando è nato tutto. Questo è il motivo per cui non sono in grado di apprezzare come noi, vecchi inguaribili nostalgici, una tecnologia passata di moda, considerata ormai antica ed inutilizzabile al giorno d’oggi per il semplice motivo che non è nuova e quindi non “fa figo”. Non “appare”, dunque non è bella.

La comodità dei mezzi odierni inoltre non li aiuta affatto nel superamento di tali limiti, anzi li rende un po’ ottusi e poco curiosi, poco inclini ad una ricerca a ritroso che gli permetterebbe di conoscere i passaggi che hanno preceduto queste scomode comodità.

Che belle le cartucce del primo Nintendo…il NES. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui andai insieme a mia madre e ad un compagno di classe in treno a Udine ad acquistare Super Mario Bros 3. Capolavoro. La custodia di cartone, con quel suo odore particolare che sapeva “di gioco Nintendo”, all’interno il libretto che mi sfogliai per tutta la durata del viaggio di ritorno, fremendo dalla voglia di arrivare a casa per giocarci e godermelo.

Ricordo il profumo dei negozi di un tempo. Ricordo l’odore di pellicola, di plastica che si percepiva all’interno del negozio FOTO STUDIO SERGIO nel mio paese, in cui oltre a sviluppare e a vendere rullini fotografici si noleggiavano i primi film in videocassetta e i giochi del Nintendo. Quando decidevo di noleggiare un film lo pregustavo già prima di partire da casa, con la speranza di trovare in negozio sempre qualche novità.

L’ebook-reader è pratico per la lettura di un libro, dove e come vuoi. Ma se non ti è mai capitato di toccare e sfogliare le pagine del libro che magari ti ha cambiato la vita, qualcosa è andato perso.

Lo stesso concetto vale per un album musicale. Se hai imparato soltanto a scaricarlo o ad ascoltarlo da internet e non ti è mai successo di maneggiare la custodia del cd con la sua copertina, il booklet e il suo profumo di cartoncino e “di testi”, che rappresentano fisicamente il prodotto finale di un lavoro che sta alla base di quell’opera, non hai mai ascoltato un artista come si deve.

Allo stesso modo, se non hai mai fissato un disco mentre gira sul giradischi non puoi capire tutto ciò che può trasmettere la vera musica e la sua storia.

Internet è una rivoluzione di una grandezza pari a quella dell’invenzione del fuoco. Ha cambiato il mondo, il modo di approcciarci alla quotidianità, di relazionarci. Se nasci in quest’epoca e non sai che prima di internet esisteva un mondo senza internet, o se questa cosa nemmeno ti incuriosisce, sei malato. Punto.

Se non hai visto e maneggiato un floppy disc non è colpa tua ovviamente, ma non sai cosa ti perdi. Se però non ti sei nemmeno chiesto cosa fosse e a cosa servisse quando hai visto una sua immagine passare per caso in rete, non stai facendo la cosa giusta. Perdi pezzi.

E quindi cosa resta? Resta un vuoto che senti che c’è, perché ti manca qualcosa ma che non vedi, che non riconosci. E’ l’oblio il problema delle nuove generazioni. E’ un ricordo smarrito, che non hanno mai toccato con mano. E noi adulti se non facciamo qualcosa per restituire loro una memoria, li avremo soltanto aiutati a morire male.

Un tremendo gap.

Noto con dispiacere che la maggior parte dei ragazzi d’oggi non è sempre in grado di cercare un’emozione quando fa qualcosa, perché l’emozione richiede tempo. E loro non ce l’hanno. Non se lo concedono.

Quando si cerca un’emozione i cinque sensi devono agire in armonia. E per farlo ci vuole pazienza.

Questo discorso vale per tutto nella vita.

Altrimenti rimane puro istinto. E niente più.

Il vuoto.

E ciò che oggi circonda le nuove generazioni e spesso un po’ anche noi, è il vuoto.

Sveltine imperturbabili fatte di rabbia e sangue.

[Frammenti dalla brutta copia del mio prossimo libro]

…E se non tenteremo di cambiare, che cosa potrà mai succederci?

Succederà che prima o poi moriremo, in qualsiasi caso, ma in questo caso senza aver capito nulla di noi stessi, del mondo che ci circondava, di ciò che facevamo e dei motivi per i quali facevamo determinate cose, senza esserci mai avvicinati all’idea di ciò che forse avremmo voluto essere realmente. La fine è importante in tutte le cose, citando Hagakure. Ma questa sarebbe davvero una triste vita, con una triste fine…

RIMANETE SINTONIZZATI!!! 😉

Cristiano

Domanda #1

Avete il timore di invecchiare o vi siete resi conto di non aver concluso abbastanza? (dite anche perché)

Naturalmente

Gli alberi più rigidi sono quelli che si spezzano prima; chi è invece cedevole e flessibile resiste a lungo. L’uomo saggio cerca di mantenersi in equilibrio seguendo attentamente il corso delle cose.

albero, Yin e yang
Albero, Yin e Yang

Paura di vivere veramente

Che n’è stato di quell’ape che non produceva il miele

e lasciava l’alveare?

E di quella formica

che alle altre non si univa per aumentare il loro “pil”…

Chi ha sentito di quel lupo

uscito dal suo branco per conoscere un po’ il mondo?

O di quella pecora che si guardava intorno

e non voleva essere più gregge…

Alti legami

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Se amo un’aquila
non la chiudo in una gabbia per tenerla accanto a me per sempre.
La libero in cielo.
Per sentirla e vederla libera.
Per vederla bella e felice
come la prima volta.
Se amo un’aquila
non la chiudo in una gabbia
perché io non posso volare insieme a lei nel cielo
e sarebbe da pazzi negarle questa incomparabile libertà.
Mentre lei sa scendere da me
ed il suo sacrificio
sarà proprio quello di aver scelto
di scendere da me
in cambio di tutto il cielo.
C. Camaur

Successo

Talenti al vento

lungo le vie di quel che vivo

esempi spenti

leggende oscure

troni vuoti

tanti fanti

Cos’è successo?

Cos’è il successo?

Infarto quotidiano

phototastic-06_09_2015_42ae5112-21d5-46df-b6cc-6278a7f7c508L’eccessiva informazione e la tendenza di chiunque, a criticare la qualunque, sono i nuovi nemici della cultura e della nostra quotidianità (quanto meno della mia). L’eccessiva informazione è la vera disinformazione oggi. Non ha più senso quasi nulla, nessuna parola, oggi mercificata come qualsiasi altra cosa. Forse non leggere e lasciare che sia, o forse selezionare le fonti, gli articoli, i post da leggere e da commentare, a costo di diventare pazzi, sarebbero le uniche modalità con cui tenere la mente libera da nefandezze, sgombra di quelle inutili pernacchie che hanno come fine solo la vendita della critica mossa o della notizia.

Dateci un taglio. Come si usa dire davanti all’oste qui in Friuli quando si desidera bere un bicchiere di vino. A proposito di Friuli, impariamo magari dai vecchi friulani, come il Dino Zoff nazionale. Dire poco e bene. Mai a sproposito. Mai eccedere. Non serve. A che serve commentare tutto? Facciamoci una dose zen, tranquillizziamoci. Se abbiamo un sacco di tempo libero da buttare, donatoci senza preavviso dalla crisi, utilizziamolo per cercare una passione, un nuovo modo di vivere. Camminate, pedalate, che ne so…dove cazzo correte? Perché tanto bisogno di dire tutto e sempre, insultare, informare? Chi? A chi volete rendere conto?

Troppe foto…cazzo, selezioniamole! Perché pubblicate tutte le foto che scattate? Selezionare è importante in tutto nella vita, dalle parole al cibo. Dalle foto alle condizioni di lavoro. Tutto ha un limite. Non serve a niente manifestare se poi nel nostro piccolo non siamo un esempio prima di tutto per noi stessi. Non serve a niente se non siamo l’espressione vivente della società che vorremmo per noi. Selezionare in base alle nostre sensazioni più alte, quelle che non hanno a che fare con la voglia di apparire a tutti i costi. Selezionare per dare un taglio alla quantità ed elevare la qualità. E’ da qui che si riparte. Dal nostro buonsenso. Qualità, raga. Qualità

Citazioni

“Mai stato in grado di gestire relazioni
forse ho dato sempre troppo accordo alle sensazioni
mai stato in grado di amarti come volevi
l’ho fatto più di quanto credi…
Ho passato giorni in un clima infernale
odiandomi per come non mi so comportare
persone alle quali ho fatto del male
forse è per questo che oggi ho imparato a perdonare
spesso non ho dato quanto ricevuto, ringraziato quanto dovuto
ascoltato quando ho potuto, scusato a causa del mio orgoglio fottuto
a volte mi chiudo, non basta mettere il telefono che squilla in muto
mai realizzato sul lavoro
e non è colpa del sistema se ho bruciato le mie chances come marlboro
non mi sono reso conto d’esser diventato uomo
ma ho sempre pagato i conti della vita al volo!

Mai fatto abbastanza, mostrato costanza
dato il dovuto mai rimasto seduto
ma quando scrivo è una rivoluzione
il mondo smette di girare e percepisco meglio anche ogni odore!…”

By: Nicholas Fantini (aka: E-GREEN)

Haiku

Della vita

come di un haiku

amo quei vuoti ricchi di suggestioni,

quella traccia, quello schizzo lasciati lì

in sospeso,

come in orbita tra spazio e tempo,

che noi dobbiamo completare.

Oggi

Scrivo forte

come il big wind di questo inverno

che trova la password

del mio mondo da esplorare…

Preso male

Per dare il meglio là fuori

per sentirsi big dentro

per crescere

per non restare indietro

penso

Je suis Charlie?

Abbiamo visto, ascoltato e abbiamo capito tutti che ciò che è accaduto ieri in Francia è orrore puro.

Un episodio che inaugura male questo 2015.

D’altronde in Europa da qualche anno a questa parte non si respira un’aria poi così sana: la crisi, la politica poco o per niente trasparente che pretende di unire popoli incompatibili da secoli per cause geografiche, storiche e cuturali, che parla di economia come di una scienza difficile e prevarica i diritti umani, dove gli ultimi se la prendono sempre in quel posto. Democrazie che di democratico portano solo il nome, come un bel tappeto persiano che nasconde le immondizie sotto i suoi colori sgargianti e i suoi intrecci artigianali precisi e codificati. Taferugli, opinioni divergenti tra le masse i cui gusti vengono guidati h24 da slogan di multinazionali e di banche i cui interessi coincidono con quelli dei governi dominanti. Insomma, l’Europa non è il paradiso che vuole sembrare, ce ne siamo accorti. La sua unione è solo nella forma, nei comizi, nei confini abbattuti senza tutele, meno negli intenti. E’ un’unione coatta, un affare che funziona solo per Qualcuno. Noi non siamo altro che le pedine sfigate di un master senza scrupoli.

Certo che se invece l’Europa la vogliamo paragonare per esempio a buona parte del Medioriente, a quelle zone dove guerre grandi e piccole (spesso invisibili per i media e quindi per noi) stanno violentando e polverizzando l’identità e il cuore di milioni di civili inermi di fronte al potere, frullati insieme ai compromessi, ai meschini interessi che riempiono da sempre le tasche e le casseforti dei grandi capitalisti e delle grandi economie, beh, allora sì, in Europa “diciamo” che si sta bene. Dipende molto dal numero di diotrie di ognuno di noi infondo. Dipende dal nostro arbitrio. E’ soggettivo. Come ogni scelta di vita, del resto.

Poi c’è il problema immigrazione. Ho il presentimento che la maggior parte di noi europei non abbia la volontà né il piacere di ospitare a casa propria colui che fugge da quelle realtà sopra citate. Persone, popolazioni intere che scappano spaventate, umiliate, da una vita che chiamare vita è un eufemismo, da prigioni vere e proprie, non soltanto mentali, ma fisiche, dove il libero arbitrio è un’opinione che non possono esprimere e che spesso e volentieri li condanna. Nessuno in Europa, (quella stessa Europa che pretende di diventare più “unita” che mai) ha la minima intenzione di prendersi la responsabilità di un problema che esiste e che non può essere ignorato.

Come biasimarci? Noi intendo, noi piccoli individui, pedine insignificanti. Già abbiamo i nostri problemi, noi. Quante volte le sentiamo frasi come questa?

Ci sono questioni serie, che riguardano le persone, problemi che mettono in serio pericolo l’incolumità, la libertà di tutti e non soltanto di chi emigra o di una parte della popolazione. Problemi sociali, economici, politici, ambientali a cui ogni nazione è costretta a fare fronte per conto proprio, a discapito di tutti, perché in quel caso l’Europa “unita” magicamente all’improvviso non esiste più. Nessuno che faccia un passo indietro, che si dimetta, nessuno che abbia il coraggio di ammettere un errore, un solo errore. Nessuno che parli di un’alternativa, di strade secondarie, di speranza.

E noi? Nessuno di noi che capisca una volte per tutte che non dobbiamo più affidarci alle decisioni di uno schieramento politico, di un leader che con le mani tocca tutto, nessuno di noi che abbia il coraggio di spezzare i fili e uscire dal teatro per iniziare a muoversi retto da una propria consapevolezza.

Questo è l’immigrazione, l’integrazione, il mondo presente. I popoli si spostano da sempre per le stesse ragioni: sociali, economiche, politiche e geografiche. Dalla preistoria.

Questo non ci obbliga di certo ad ospitare chiunque varchi i confini, pretendendo solidarietà o inutili buonismi che poi magari nella pratica, nelle sfumature quotidiane come abbiamo visto, traballano e si traducono in incomprensioni, e nel peggiore dei casi, in violenza.

Dove sono le leggi che dovrebbero tutelare noi e colui che emigra?

Ma da chi dovremmo difenderci allora? In che modo? Chi sono i nemici?

– I politici? Incravattati che sotto lo smoking nascondo un passato e un presente compromettenti?

– I disoccupati? Che non sanno di che morte morire e non riescono a fidarsi più di nessuno, finendo poi paradossalmente per votare il solito colletto bianco di turno?

– Le nuove generazioni forse? Che non trovano la forza per contrastare decenni di corruzioni, servilismi e nepotismi vari?

– I capi famiglia? Che non sopportano il cambiamento della donna nel tempo e le bruciano la faccia con l’acido?

– Gli immigrati? Che giustamente pretendono di essere ascoltati e di essere accettati nonostante una parte contribuisca a creare disordini sociali?

– I vignettisti o gli editori? Che davanti ad un kalashnikov metaforico e non, si intestardiscono a disegnare e a pubblicare vignette discutibilmente ironiche, mettendoci la faccia in nome del “potere alla parola”, mettendo in serio pericolo anche la vita, la libertà e la pace di un’intera comunità?

Chi siamo noi? Charlie oppure i terroristi?

Qualcuno fa presto a trarre le conclusioni urlando davanti alla tv o davanti al monitor:

FUORI GLI IMMIGRATI!!!

BASTA CON LA CORRUZIONE!!!

BASTA CON LA VIOLENZA NEGLI STADI!!!

NO ALLA CENSURA!!!

FUORI I VECCHI, DENTRO I GIOVANI!!!!

BIBBIA SI, CORANO NO!!!

BASTA CON LA VIOLENZA SULLE DONNE!!!

Tutti slogan da campagna elettorale.

Poi però, nella propria vita privata come si comporta un urlatore? Dà il buon esempio a chi gli sta accanto? Ha la lucidità mentale per capire e rappresentare il mondo che vorrebbe vedere e che rivendica con quelle frasi che non ammettono deroghe?

Ogni giorno vengono riciclate le stesse frasi di sempre, in salse diverse, a seconda del fattaccio del momento.

Un mare di ideologie del cazzo in cui annegano quotidianamente le persone, per comodità, per ignoranza, anziché elaborare un proprio pensiero autentico. Schiavi senza libertà di giudizio, che si fanno fregare dalla Bibbia, dal Corano, dal guru, dal partito più arrogante, dalle leggi di qualcuno!

Disadattati cronici, ciechi, sordi che non aspirano a nulla, senza amore, senza passioni, senza sogni! Ecco perché ci si rifugia in quelle frasi.

La conseguenza di quelle frasi, il meccanismo nascosto dietro quelle parole, porta al massacro di ieri. Il terrore è l’altra faccia della medaglia.

Il problema è colui che non si ascolta, che non ha mai tentato di inseguire i propri sogni, non ha mai provato magari nemmeno ad immaginarlo. Colui che non da prima di tutto a se stesso il buon esempio.

Tutte bestie con il libero arbitrio, sprecato maledettamente soltanto per il timore di non sentirsi all’altezza delle aspettative, per paura di non essere parte di qualcosa, di un gruppo, che soltanto in gruppo è abbastanza snello per vestire la maglia dei vincitori, incapace di reggersi in piedi con le proprie gambe.

Quanto qualunquismo e pontificazioni ho ascoltato in questi due giorni, dopo la strage di Parigi. Mi hanno preoccupato di più le conseguenze, e le parole intorno al fatto che il fatto stesso. Quanta speculazione mediatica. Quanta immediata violenza verbale in risposta alla violenza fisica.

Quanti errori vogliamo commettere ancora?

Quando saremo disposti ad imparare e a cambiare?

Siamo noi i responsabili.

Siamo Charlie…e siamo anche i terroristi.

Conviene

Lignano Sabbiadoro

Conviene stare calmi e goderci la vita, gente…
Goderci il respiro, intendo, quello nostro e di chi ci sta baciando…
Goderci la luce del sole e quella che esce dalle finestre delle case la sera…
Goderci l’intimità del buio…

Ascoltare e goderci i suoni della vita nascosta che non vediamo ma che esiste…che esiste per chi la sa ascoltare.

E poi arriva quello sul tram, in bus, in treno, a scuola, al lavoro, per strada, in sala d’attesa, in palestra, alla tv, che ci dice che ci vuole fortuna, che tutto va male, che la vita fa schifo, che ha paura. Basta! Cacciate questa gente.

e godetevi sta vita.

E-vita

Se non va come vorresti,

allora lasciaLa che vada.

La conosci…

è la tua vecchia vita cara

che si prende i propri spazi,

inclusi i tuoi

e non sa chiedere permesso.

La libertà,

come vedi,

è un lusso che si paga

o addirittura non esiste,

pensa…

Il caso spesso

ti vuol complice

e in tribunale

a volte è il giudice.

Ti fa un’offerta

che non rifiuti,

senza fartelo sapere.

Marcia fissa

lì al tuo fianco,

ti controlla,

ti pedina

ti bacia in bocca

e ti tradisce.

E’ la più dolce,

la più testarda,

la più gelosa,

la più bastarda

tra le amanti.

Non c’è programma che ti salvi

e se crolli,

rialzati!

Accetta i fallimenti

e non dimenticare

di farti i complimenti.

[Briciole dalla brutta copia del mio prossimo libro]

A “Ciao! come stai?!”

B “Ciao, Bene grazie! E tu?”

A “Non mi lamento dai…Cosa fai adesso?”

A “Sto andando in cartoleria…”

B “No ma intendevo…nella vita…”

A “Mah…per ora vado in cartoleria e poi vedrò…”

B “…mh…”

A “Non sto facendo niente che ti interessi realmente, va bene?? Ho diversi hobby e passioni di cui potrei parlarti ma che non rientrerebbero in un tipo di conversazione flash come questa!”

Cos’è che nel 2014 spinge ancora le persone a farti quelle domande di merda? Semplice curiosità?
– …Che poi va di moda questa paura di perdere tempo, una patologia ormai diffusissima tra le persone che hanno sempre qualcosa di più importante da fare, con il cellulare che chiama in continuazione, i caffè velocissimi presi al bancone… Che cazzo devi fare di così importante?? Dove stai andando?? Il paragone con il criceto che corre sulla ruota è automatico! Non serve essere dei poeti per trovare una metafora più azzeccata di questa! Basta osservare! Ma chi si ferma più ad osservare oggi? Contemplare è diventato imbarazzante come pisciare nei bagni pubblici.

Ricordandovi che…

 

Il mio libro, IL VERSO DEL CANE, è un libro su tutti i “cani” che siamo noi, nelle nostre relazioni, di coppia, di amicizia, o di semplice conoscenza, sempre noi con i nostri segreti e le nostre urla. In questo libro non ci sono solo io, ci siete anche voi, ci siamo tutti.

 

Lo potete acquistare su Amazon, risparmiando un po’ di più!

Comprandolo, mi date una mano economicamente, contribuirete a diffondere il mio libro, la mia arte, la mia passione. Aiutate la poesia contemporanea ad avere ancora una voce in questo mondo sempre meno tangibile e a portata di clic.

 

Vi ringrazio anticipatamente,

Cristiano

 

Puntualmente in ritardo, eccomi qui! Con un nuovo progetto!

Dopo parecchi giorni d’assenza dal mio blog, ritorno per portarvi qualche news riguardo la mia attività di scrittura. Come quando sono in sella alla mia bici o a piedi o (raramente) in auto, o ancor più spesso, quando cavalco la mia fantasia, amo imboccare nuove strade, provare nuovi percorsi, che spesso si allontanano dai tracciati convenzionali. Mi piace sentire ogni tanto il sapore dell’avventura, o quantomeno della novità… Primo, perché sono curioso e mi piace mettermi alla prova non soltanto con le idee ma anche con i fatti, secondo, non amo fossilizzarmi in un’unica cosa, in un unico stile, rischiando così di perdere l’occasione per conoscere nuovi punti di vista e stili di vita, utili per me stesso, per esplorare nuove dimensioni del mio essere e quindi per migliorarmi.

Ebbene, ho sempre tentato in passato, forse con troppo poca convinzione, di fondare una band, o comunque di provare ad accostare la musica alle parole che scrivo, trasformando i miei pensieri in canzoni. La canzone non è poi così diversa dalla poesia, nel complesso, anzi si può dire che corrano tutte e due sulla stessa carreggiata, verso la stessa destinazione, tutte e due possono disporre dello stesso potere, della stessa energia. Sono composte della stessa sostanza spirituale. Spesso e volentieri le canzoni sono vere e proprie poesie, nelle quali ci si immerge e ci si perde allo stesso modo. La musica che le accompagna le può rendere ancora più potenti e coinvolgere un pubblico più ampio.

Fin qui non credo di avervi detto nulla di nuovo. La novità, come forse avrete intuito, è che sto fondando un gruppo musicale, in cui sarò autore dei testi insieme al mio fido chitarrista e inoltre sarò la voce principale. La musica è parte di me fin dalla nascita. Ho sempre ascoltato di tutto perché i generi musicali sono come il cibo, si può apprezzare una pizza come allo stesso modo il sushi o una wiener schnitzel. Chiaramente come nella cucina, così nella musica, ci sono dei gusti che prediligo rispetto ad altri. Amo molto il rock anni ’60/’70, non escludo il sound ’80 e ’90, mi piacciono da matti le rime, quindi per me il rap ’90 è sempre stato un punto di riferimento nella scrittura; amo la musica black, dal jazz al blues, al soul, al rhythm & blues, al funk, al rap, al reggae… Mi piace molto l’elettronica, apprezzo la house music, ma allo stesso tempo sono in grado di apprezzare la musica classica, così come il cantautorato italiano.

La linea che seguiremo noi e che ci accomuna in questo percorso musicale sarà più o meno quella del rock & roll, puro, un po’ blueseggiante, con l’aggiunta di qualche esperimento strada facendo soprattutto per quanto riguarda gli spettacoli live dove poesia ed immagini potrebbero accompagnarci in diverse forme e stili. Ma non voglio svelare ancora nulla, anche perché è ancora una bozza. Siamo ancora incerti nella scelta del batterista ma da due settimane ci stiamo dando da fare nella nostra sala prove e con la calma e un pezzo alla volta, realizzeremo il progetto curando man mano ogni dettaglio. Sarà l’inizio di un nuovo percorso senza scadenze. Un sogno che vorrei condividere con voi, qui e non solo.

Nel frattempo sto continuando a lavorare sul mio secondo libro, il quale non sarà questa volta una raccolta di poesie bensì un’opera in prosa, un saggio dal sapore poetico, se così posso chiamarlo, ma che sinceramente faccio fatica a definire.

 

Per il resto, senza paura, raccontatemi di voi se ne avete voglia, nei commenti, di cosa ne pensate e se anche voi state seguendo un percorso simile al mio!

Il muratore di coscienza (Dalla brutta copia del mio prossimo libro)

ti devi costruire una tua coscienza, devi cercare sempre ciò che ti fa stare bene, difendendoti da insidie letali, osservando e cercando a tutti i costi un metodo personale di auto-conservazione. È un viaggio, una ricerca infinita che ti da modo di dare il meglio di te in ogni situazione, da solo e insieme agli altri.

a me fa impazzire (positivamente) che si facciano tanti giri di parole per tanti anni, esperienze spesso anche inutili ma che in qualche modo ti servono, per capire che tu invece sei “quella cosa là”…e ce l’avevo allo specchio, porca puttana! …ma niente, non c’è proprio niente da fare, impari col tempo a capire soprattutto cosa non sei. Con il passare del tempo ogni cosa prende un senso, anche quando non ce l’ha.

La pazienza del caffè

2014-05-10 11.19.49

Il caffè, per me è l’emblema della pazienza mediterranea.

E’ l’emblema dell’ozio. Intendo l’otium classico, sinonimo di s

litudine, contemplazione, pienezza, riflessione, opposto al negotium, il “non ozio”, l’attività lavorativa priva di pensiero, degna delle macchine.

Il caffè è gioia.

Il caffè mi fa sentire a casa. E’ la linea di demarcazione tra una fine e un nuovo inizio.

Il caffè è un concetto che va al di là di quello di bevanda e di colazione.

Il caffè non va mai preso di fretta. E’ un insulto. Il caffè inizio ad assaporarlo con la mente mentre attendo che esca nella moca. Quando comincio a percepire il suo inconfondibile aroma, che si espande e si infiltra in ogni stanza della casa e che ti trascina per la gola in cucina, ha fatto la prima mossa, è già parte di me, sta corteggiando i miei sensi. E li ha conquistati. La seconda mossa spetta a me. Mi avvicino per “baciarlo”, assaporarlo, consumarlo. Per vivere quella breve storia d’amore quotidiana mai banale. Sembra sempre la prima volta.

Il caffè non si rifiuta mai. 

Il caffè è zen. Il piacere del caffè sta nell’attesa. Ed è un’attesa che merita attenzione e pazienza.

Il caffè è un rito di socialità. Succede spesso, di prenderlo assieme ad altre persone. E’ un buon pretesto per una chiacchierata. Ma per quanto mi riguarda resta un affare personale. Un sapore privato. Le sensazioni sono soggettive ed io mi calo in quella pace, in quel tipo di pazienza, di esperienza che trascende ogni situazione intorno a me. Con o senza zucchero, corretto, con o senza latte, ecc. A ciascuno il suo. E non c’è mai un motivo particolare per dire sì al caffè, e nemmeno per dire no. Non è necessario che sia per forza ora di colazione. Il caffè richiama la tua attenzione ovunque ti trovi, qualunque cosa tu stia facendo. Ti invita.

E cedi.

Breve riflessione dopo-festival

Il cast del film giapponese
Il cast del film giapponese “Be my baby”

La settimana scorsa mi trovavo a Udine per Far East Film Festival, in qualità di “operatore volontario”. Mi occupavo della parte social-mediatica della manifestazione dedicata al cinema asiatico, definita “la più ricca rassegna di cinema dell’Estremo Oriente in Europa”. In poche parole aggiornavo, dai miei profili social, gli avvenimenti del festival in diretta mediante foto, commenti a caldo, ecc.

Ho avuto modo di guardarmi diverse pellicole, alcune delle quali molto particolari e affascinanti, altre piuttosto pallose ma in qualche modo interessanti. Il vincitore del festival è stato il giapponese “The Eternal Zero“, la storia dei nipoti di un pilota, morto da kamikaze durante la seconda guerra mondiale, che cercano di fare luce sul motivo che spinse il nonno a sacrificare la propria vita in quel modo, alla vigilia della sconfitta giapponese.

Nonostante la rassegna mi sia piaciuta nel complesso per la sua ricchezza di sfumature, mi ha colpito soprattutto la bellezza estetica, la spontaneità del cast giapponese nella pellicola sexy “Be My Baby” (foto) del regista Ohne Hitoshi e la loro disponibilità con la gente in teatro e per le strade di Udine. Ma ciò che mi è rimasto più impresso non è stato un film in particolare bensì la freschezza, la forza d’animo, l’intenzione di un gruppo di giovanissimi studenti, nonché emergenti registi  hongkonghesi che, sostenuti economicamente da un progetto chiamato “Fresh Wave” (che in Italia ci sogniamo) con la collaborazione di registi del calibro di Johnny To, ha presentato una selezione di cortometraggi molto interessanti, ricchi di personalità e di autenticità. Ho apprezzato tantissimo l’intensità con cui i registi in erba hanno cercato di esprimere i loro punti di vista riguardo i problemi sociali e le conseguenze di questa urbanizzazione che caratterizzano in particolar modo la Cina ma allo stesso modo buona parte del pianeta Terra. Mi ha colpito la forza ma anche quella “presunzione” (che non sono di sicuro una novità) di abbattere alcune solide barriere sociali antidemocratiche che rendono spesso impossibile la convivenza tra classi sociali, autorità ed istituzioni fino alla perdita dell’identità. Mi ha toccato la loro immensa voglia di riempire quel perenne gap  tra “giovani” e “vecchi”, un tema altrettanto vecchio ma pur sempre attuale, il quale, mediante queste testimonianze mi ha spinto a chiedermi il perché di così tante incomprensioni, e soprattutto come mai da una parte (giovani) è quasi sempre esistito un desiderio sfrenato (qualche volta impulsivo ed ingenuo) di cambiare le regole del mondo, di battersi per i propri diritti violati, mentre dall’altra regnano pressapochismo, rassegnazione, pigrizia e frustrazione.

Il caos è il re del mondo…

Perché noi esseri umani, il più delle volte, vogliamo cambiare senza cercare un equilibrio?

Non dovrebbe essere un obiettivo collettivo che nasce spontaneo dal singolo individuo?

Perché continuiamo a sbagliare senza imparare?

Noi

Ciò che resta del rumore

siamo noi,

divisi da un’unione di spaventi

e sprazzi di lucida passione…

La distrazione

che tanto ti mancava

più di quanto

forse

ti mancasse la persona…

Le persone

Stupende contraddizioni

E’ pericolosa l’assurda confusione che ti crei in testa leggendo e assimilando le più diverse e contraddittorie idee sulla realtà dell’esistenza che trovi in internet e nei libri. Sterili pensieri che non sono una tua esperienza e quindi inutili. Una sporcizia mentale che ti impedisce di apprezzare il presente e imparare davvero qualcosa. E qui mi contraddico. Grazie dell’attenzione.

Per me

E ad un tratto mi cercai,
condannato all’abiura,
ho subito dritti al cuore
gesti privi di premure…
E oggi ramingo
vago a caccia
della mia vera natura,
di un me essenziale
che ha vestito troppi panni,
trascurato per due anni
o forse più…
L’indispensabile Me Stesso.
Perché per te morivo,
perché è per me che vivo
adesso.

[Pezzi dalla brutta copia del mio futuro libro]

L’ignoranza miete vittime. E’ l’ignoranza che ci conduce all’odio. Tutto nasce da un’errata disposizione mentale, da una scarsa volontà di comprendere noi stessi, da una rinuncia di ricerca e di analisi dei nostri processi mentali…

…La ricerca del benessere personale è un nostro diritto ma più un dovere, che porta rispetto prima di tutto a noi stessi e quindi al prossimo. Altrimenti che viviamo a fare, se non per avvicinarci il più possibile alla consapevolezza?

Se non ci si forma, ci si deforma.
Bisogna accontentarsi.

Ma questa affermazione può essere giusta da un certo punto di vista, sbagliatissima da un altro. Accontentarsi non equivale a rassegnarsi. Non significa che dobbiamo restare fermi e non evolverci, ma nemmeno che dobbiamo rinunciare ad essere noi stessi. Accontentarsi significa… (continua nel libro)

Cosa significa innanzitutto “accontentarsi“, secondo te?

Cosa significa “rimanere te stesso“?

Partire o restare… (…pezzi, dalla brutta copia del mio prossimo libro)

– “Io…non so mai se partire o restare…odio la mia insicurezza…”

– “Sai…Andarsene, a mio parere, non è sempre sinonimo di intelligenza e di scaltrezza. Chi se ne va, spesso lo fa soltanto perché non sente più legami di sentimento nel presente, nella dimensione in cui vive. Chiaramente per legami intendo qualsiasi natura di legame affettivo…

…Non siamo tutti uguali, questo è indubbio ed è l’unica cosa certa. Alcuni se ne vanno per motivi e bisogni che considerano primari nella propria vita. Altri scappano per cambiare aria, forse solo per un breve periodo di tempo, mentre altri ancora per evitare di pensare, per evitare il suicidio.
Sapete, mi sono accorto che la maggior parte di chi se ne va, è convinta di fare la scelta giusta perché 
si accontenta della reazione di chi lo vede partire. Una volta che parti ti considerano un mito. E questo ti basta, forse perché in realtà non cerchi la partenza, ma la notorietà, una piccola parte come protagonista, l’attenzione che non hai.”

Quel dialogo siamo noi

Pubblico questo articolo perché trovo che le parole di Simone Perotti descrivano perfettamente le stesse sensazioni che ho io riguardo quella rivoluzione individuale che ognuno di noi dovrebbe attuare oggi in antitesi a quel modo di respirare la politica che teme, nega e disconosce l’esistenza di un individuo capace di decidere con la propria testa, a cui ci hanno abituato. Se vi interessa ho trattato questo argomento qui sul mio blog nei post Un approccio diverso e in Scendi!.

L’articolo che segue è stato scritto da Simone Perotti e pubblicato per Il Fatto Quotidiano.

RENZI – GRILLO: QUEL DIALOGO SIAMO NOI

“Appena finita la diretta streaming delle consultazioni tra Renzi e Grillo. Sensazioni contrastanti. Qualcosa (parecchio!) quella scena diceva… A me.

Da un lato il Premier incaricato a cui sta cercando i ministri De Benedetti. Lo stesso che ha detto a Letta fidati e poi lo ha tolto di mezzo, che aveva detto riforma elettorale ed elezioni e, appena presi due milioni di voti alle primarie, ha detto governo di legislatura e voto al 2018, che aveva detto mai più larghe intese e ora fa il governo col centrodestra… ma che è lì seduto, aperto al dialogo, pronto a confrontarsi democraticamente davanti alle telecamere, paziente.

Dall’altra il comico, quello che dice che non è democratico con tutti allo stesso modo, che non fa parlare il suo interlocutore, che non vuole confrontarsi, che è andato all’incontro ma l’incontro non lo vuole fare, che chiede alla gente cosa deve fare e poi quando gli dicono “vai” fa finta ma in realtà non fa quello che la rete tanto sovrana gli ha chiesto… ma che ha una visione del tutto diversa del Paese, del lavoro, dell’energia, della società.

Uno educato, l’altro con i contenuti. Uno maleducato, l’altro paraculo. 

Ed eccoci qui, Noi, a guardare, incerti su cosa pensare. L’ago pende, è chiaro. Non potrebbe non pendere, dopo che abbiamo saputo da Barca come funziona; dopo che abbiamo visto il ceppo antico della peste democristiana farsi beffe di tutti gli elettori delle primarie. Però di là c’è la “dittatura sobria” (come l’ha autodefinita Grillo in conferenza stampa, seppure autoironicamente), ed è evidente che finirà così, anche se il modello di sviluppo l’ha centrato, è quello, senza alcun dubbio, e godiamo, dobbiamo ammetterlo, quando il dialogo col “falso e cortese” non inizia neppure, perché certi dialoghi non vanno condotti bene, non vanno effettivamente iniziati mai.

Occasione d’oro, tuttavia. Per me, che conto uno, un’opportunità per comprendere la mia politica, quella non delle convinzioni ma delle azioni. Qual è il mio programma, quello che sto facendo oggi se autoproduco, se decido per una mia diversa mobilità, quando faccio le debite fatiche per essere coerente con la mia visione ambientalista del mondo, quando lascio il lavoro, vivo con poco, ristrutturo da solo la mia casa, cambio d’uso agli oggetti per non gettarli via? Ecco a cosa serve guardare quel dialogo così apparentemente inutile, antitetico: serve a noi, per agire.

Libertà non è partecipazione, è azione. Io sono il mondo che deve cambiare. Poi loro, i candidati, la politica… cambieranno, saranno espressione mia, mia conseguenza. Somiglieranno a me, non io a loro. Il dialogo tra Renzi e Grillo è istruttivo perché è un dialogo a cui avrebbe potuto prendere parte a buon titolo, ognuno di noi. E’ inutile che li giudichiamo. Siamo noi il falso e cortese, siamo noi il fascistoide che pensa giusto. Io che non voglio essere paraculo e voltafaccia come Renzi; io che non voglio essere violento come Grillo, ma che da Grillo accolgo la sintonia con la mia passione, con il mio impegno morale; io che non voglio somigliare a Grillo in alcun dialogo, ma che non consentirei mai a De Benedetti o a chi altri di dirigermi, marionetta scambista del potere; io che osservo e penso che è una finta, una liturgia, affidandoci alla quale veniamo meno ogni giorno all’azione, dai rifiuti, i nostri, al riscaldamento della nostra casa, che inquina, alla fuga possibile dal consumismo, il mio, alla mia diversa mobilità, alla necessaria solitudine per rimanere esseri umani.”

S. Perotti

Very poveri Cristi

Nelle tasche delle spoglie dei credenti

non ho mai trovato incensi,

solo mani senza pace

sulla faccia degli ignoti,

di bambini,

mendicanti,

di perdenti

che non mendicano croci…

Spesso ho visto mani

calpestarsi come piedi…

Ho visto mani

stringersi tra i banchi della chiesa

di uomini

parcheggiati in doppia fila

per ricevere in omaggio

il corpus domini disteso sulla lingua

mentre ingoiano reati

diluiti in acqua santa

per redimere i peccati…

I veri cristi stanno in strada

traditi dalla sorte…

Perché le porte della Chiesa

fan passare solo Giuda?

Bestemmiate infedeli!

Picchiate sulle porte perbeniste

sbarrate!

Santificate!

Spegnete questo inferno!

Pisciate!

Scrivere (pezzo dalla brutta copia del mio futuro libro, ancora senza titolo…)

“…Fu l’inizio di tutto, avevo trovato la mia cura, inconsapevolmente, sentivo che nella scrittura c’era qualcosa di potente che mi faceva bene. Mi divertiva e rispondeva alle domande che avevo dentro, spesso senza risolvere necessariamente il problema, ma soltanto discuterne sul foglio mi aiutava a capire, che spesso non c’era molto da capire.

Scrivere colpiva ogni mio male alla radice del male, non lo schivava, gli andava dritto addosso e lo affrontava di petto, a penna tratta. Non cercavo altro di più forte. Man mano che scrivevo migliorava la mia percezione della realtà, miglioravo io, migliorava il mio rapporto con me stesso, con chi mi stava intorno e con la scrittura.”

Haiku #5

Corpi selvaggi

Sospiri che urlano

teneri baci

Riflessioni “In” e “Out”

È il grosso dilemma.

Sei dentro o sei fuori? Se non scegli, se resti a metà

non vali nulla…

ti puntano il dito contro perché non riescono ad assegnarti un ruolo nella loro squadra…

Ma “loro” chi? Loro loro! Cioè Noi…

Siamo tutti parte della stessa merda..per usare un francesismo.

Spesso siamo noi quelli che critichiamo e non tolleriamo.

E poi in questa società non è sufficiente avere un ruolo in quanto a seconda della nostra età e del periodo storico sociale in cui viviamo, cambia. Alle elementari ci conoscono come un/una tale che dice, fa certe cose…

alle medie eravamo quelli che dicevano che…e avanti così, fino alla morte. Non siamo mai gli stessi. Anche se spesso lo sembriamo.

È incredibile questo alternarsi di ruoli, di personaggi che indossiamo per sembrare, per accontentare, per riuscire a cavare qualche ragno dal buco, da una vita che ci hanno donato e che ci ha consegnato ad un periodo storico a random in questa parte di Universo.

È tutto talmente grande e contemporaneamente talmente piccolo.

Dimensioni parallele che spesso deragliano e si incrociano tra presente, passato e futuro, senza linee di confine.

Forse “tutto appare” nella nostra mente…e di vero in quel che facciamo, mentre passiamo il tempo a mangiare la pizza, a guidare e a dormire, c’è ben poco…

La verità più vera e meno originale è che ci troviamo qui, su questo pianeta a fare l’amore, a farci la pace e la guerra sotto le stesse stelle dello stesso universo…rifilandoci ruoli in continuazione, inutilmente utili solo per confrontarci con gli altri, per dividerci, cercando una giustizia, giustificando violenze inaudite, credendoci padroni di vite altrui senza esserlo in primis della nostra. Qui…tutti qui…tra successi e delusioni, conseguenza di scelte che facciamo spesso senza pazienza, senza una vera e propria logica personale, reduci dall’ascolto di troppe immagini e parole, come queste…o anche peggio.

Continuamente guidati dal potere dominante che cancella mano a mano tutto ciò che realmente siamo, nella nostra essenza: la volontà, la curiosità, la creatività, l’originalità, l’unicità. Dobbiamo assoggettarci a tutti i costi alla loro smania di potere, scordandoci che possediamo l’arma più potente dell’universo: il libero arbitrio, quel concetto filosofico e teologico che ci dovrebbe permette di essere ciò che vogliamo nella vita, liberamente.


Vaffanculo a te

Buonanotte a te
che nonostante la tua faccia
riesci ancora a prender sonno

Buonanotte a te
che non riesci a stare solo e in pace
perché poi rischi di pensare

Buonanotte a te che non fai luce
e splendi all’ombra del più forte

Buonanotte a te
che non hai mai rincorso una farfalla
se non per toglierle le ali

Buonanotte a te
che vaghi in cerca di alleati
per non rimetterci la faccia

Buonanotte a te che ti lamenti
di tutto ciò che hai scelto tu

Buonanotte a te
che vivi dentro una statistica
e che ormai non sogni più

Buonanotte a te
che sei sempre così uguale

Buonanotte a te
che sei troppo normale per darti anche del pazzo

Buonanotte a te
che non capisci un cazzo

Reality Shock al bar Lamento

Sbuffando dentro un bar

ho constatato che

la gente vuol mostrarmi solo quello che

non è.

Tavoli di vetro

riservati a chiacchiere di vento

frantumate.

Tette rifatte,

menti malate

di anime strafatte

di coca e di cola

talento disattento.

Ma da quando sono nato

il mio monte mi ha accettato

e tra le fronde dei suoi figli

ho sempre un posto riservato.

Tutto il resto sia dannato!

Solo muffe ed artifici,

battute hollywoodiane,

pernacchie

e tattiche infelici.

Assistere all’allenamento di una squadra che non si diverte

Mi corrode l’anima pensare a dei ragazzini che giocano e non si divertono. E’ un paradosso. Come un fiore che non sboccia mai.

Tutti gli allenatori che ho conosciuto non hanno mai preso sul serio questo problema.

Sembravano riposseduti…

Nessuno di loro ha mai ammesso le sue colpe…

Nessuno ha mai chiesto scusa…

Nessuno di loro ha mai fatto un solo passo indietro, consapevole almeno di ciò che ha fatto…di quello che ha lasciato

Nessun allenatore si è mai soffermato a pensare che cosa insegnava…che cosa trasmetteva…

E perché cazzo urlava a fare…quelle frasi senza senso, senza senno…mortificanti…controproducenti…

Nessuno di loro mi ha mai spiegato perché volesse vincere a tutti i costi, senza scrupoli…senza riguardo per nessuno di noi…

Ci hanno fatto odiare quello sport…

L’allenatore di una squadra che non si diverte dovrebbe cambiare mestiere o hobby il più presto possibile, prima di fare danni irreversibili…

Vedere una squadra di ragazzini che si arrabbia come i grandi, che recita parti sovrumane con lo scopo di guadagnarsi un posto d’onore, di inserirsi in quell’assurda dimensione degli adulti sbagliati, di farsi accettare dal “supremo” di turno che tratta i suoi allievi come il capitano tratta i soldati di una guerra insulsa e senza fine, mi fa vomitare…

Vedere allenare in quel modo dei bambini che vogliono soltanto giocare, mi intristisce…

È un fallimento di tutti…con troppi precedenti…e che va al di là di ogni risultato appuntato nella loro classifica mentale del cazzo…

Però…

Un allenatore che capiva la responsabilità di quel ruolo…uno solo…l’ho incontrato…mi è capitato

Sì…è stato bello…

Un onore…

Un sospiro di sollievo…

Ma è durato giusto il tempo di un sospiro…

È stato allontanato, dai dirigenti…perché beveva troppo.

Era un alcolista…sì…

Ma lui ci capiva…

Con lui ci divertivamo…

Con lui sorridevamo…

Con lui giocavamo…

Con lui eravamo dei vincenti contenti, nonostante i risultati…

E tra tutti quelli che ho incontrato vi assicuro che era il più sobrio.

Un nuovo libro, un nuovo viaggio: ricominciare

Siamo giunti al termine di questo penultimo mese dell’anno, quasi freddo, che alterna tepori di fine estate a nuove gelate improvvise che preannunciano un clima e un’atmosfera un po’ più coerente con il periodo dell’anno in cui ci troviamo. Siamo in inverno e l’inverno per me rappresenta una fucina dove riscaldo i miei nuovi progetti da lavorare successivamente a mano con pazienzaI miei progetti non sono altro che sogni che ho intenzione di realizzare in tempi quasi mai brevi e definiti. Quest’anno si tratta di un nuovo viaggio e di un nuovo libro da scrivere. Quindi i viaggi saranno due.

La bicicletta in questo 2013 mi ha regalato un’infinità di emozioni e di dimensioni spesso surreali in cui non mi ero mai calato prima. Mi ha fatto sentire padrone del viaggio e del mio tempo, senza filtri, senza fretta, con il suo passo spesso incerto mi ha dato la possibilità di conoscere nuovi lati del mio io, un nuovo tipo di rapporto con me stesso e con le persone che ho incontrato lungo il cammino. La calma della bicicletta mi ha permesso di capire che la natura non ha confini geografici, nemmeno quelli che pensiamo di conoscere, mi ha fatto capire che i limiti risiedono unicamente nella nostra mente e che sono superabili con la buona volontà. A scuola mi hanno sempre criticato sotto questo aspetto: insinuavano che avevo poca volontà e ritenevano che avrei potuto ottenere migliori risultati se mi fossi applicato almeno un pochino. E sapete che vi dico? Che avevano ragione. Credevo che il mio problema dipendesse unicamente dal fatto che gli insegnanti non erano in grado di trasmettermi i giusti stimoli per seguire le loro lezioni poiché me le imponevano e le vivevo come delle costrizioni nonostante gli argomenti in sé, spesso e volentieri molto interessanti. Con il passare degli anni però mi sono reso conto che quel problema che credevo legato solamente all’ambiente scolastico, continuava a seguirmi in ogni mia attività pur trattandosi di scelte che facevo io, senza il condizionamento di nessun altro, comportandomi praticamente nello stesso identico modo, come a scuola, vivendo ogni mia scelta come un peso, una costrizione e non un piacere come in realtà avrebbe dovuto essere. Ero sempre svogliato e poco caparbio. Non mi sono mai applicato abbastanza per far avverare i miei desideri. Mi sono limitato a guardarli da fuori come qualcosa in vetrina che non potevo permettermi di comprare. Ma come dice anche Battiato, “per avere disciplina ci vuole troppa volontà”. Il mio era un atteggiamento sbagliato, se desideravo qualcosa e non aveva alcun senso poi lamentarsi dando la colpa a qualcun altro per i miei insuccessi. Oggi il mio atteggiamento rispetto a ciò che voglio fare è cambiato e sono felice di aver superato questo mio limite. Non mi resta che continuare su questa strada, ora. Ma per giungere a questa conclusione (e a questo nuovo inizio) non è stato facile come scrivere questo post, ho dovuto lavorare molto su di me e calarmi nei profondi meandri di me stesso per capire e trovare la radice dei miei errori. Non è stato per nulla facile ma ne è valsa la pena.

La bici non è altro che un esempio figurato di questo tipo di viaggio dentro noi stessi alla ricerca dell’essenziale. Per andare nella giusta direzione la mente dovrebbe procedere come un ciclista e dissetandosi lungo il viaggio con una “bevanda energetica” contenente questi ingredienti:

Sincerità, amor proprio, pazienza, umiltà, volontà, semplicità, rispetto, osservazione.

Questi termini sono le “sostanze nutritive” che compongono la giusta dimensione in cui viaggiare verso un cambiamento sincero e costruttivo.

Sto valutando diverse destinazioni da raggiungere in bici durante il vicinissimo 2014 ma non c’è ancora nulla di concreto. Mi piacerebbe per esempio visitare qualche regione d’Italia, i boschi e i sentieri stupendi in cui camminava e abitava (soprattutto durante i suoi ultimi anni di vita) uno dei giornalisti e scrittori che ammiro di più al mondo, Tiziano Terzani. Oppure mi piacerebbe molto raggiungere la provincia di Assisi e fare una specie di reportage sul tempio buddista di Ananda, situato sulle colline umbre, dove vengono impartiti insegnamenti basati sui principi dell’antica scienza del Kriya Yoga e della realizzazione del Sé, trasmessi al mondo occidentale da Paramhansa Yogananda, autore dell’interessantissimo libro “Autobiografia di uno yogi, che consiglio di leggere. Il buddismo mi ha sempre interessato, nonostante io sia un anti-religioso, ci sono degli aspetti filosofici che mi hanno sempre affascinato dal di fuori e non mi dispiacerebbe vedere di che cosa si tratta un po’ più da vicino, con i suoi pro e contro. Oltretutto mi affascina molto il fatto che questo centro si trovi in Italia. Oltre confine avrei invece in programma mete molto più distanti come la Danimarca, l’Inghilterra, la Normandia ma restano tutte ancora idee vaghe e astratte per cui non mi sbilancio anche perché dipenderà quasi unicamente dal budget che riuscirò a raccogliere nei prossimi mesi.

Quest’anno è stato un anno di soddisfazioni, ho pubblicato anche il mio primo libro che nel suo piccolo ha avuto un discreto successo in zona. La presentazione a CormònsLibri 2013 è andata molto bene, un’emozione pazzesca parlare al microfono di qualcosa che ho fatto io con le mie mani, con quella buona volontà di cui parlavo prima.

Ho ricominciato a scrivere. Continuo a nutrirmi di spunti da libri, musica, film e situazioni che studio da tempo per cominciare subito un altro lungo viaggio: il mio secondo libro. Protagonisti e ambientazioni che prenderanno forma col tempo… Sarà una nuova ed entusiasmante avventura… Si prospetta dunque un inverno ricco di appunti, di pensieri e di suggestioni da trascrivere al tepore naturale delle legna che arde e scoppietta nella stufa. Detto questo, vi auguro un dicembre autentico, ricco di progetti, di idee originali, di avventure, di rapporti sinceri e di torte e biscotti fatti in casa.

Buon viaggio a tutti.

Nel frattempo oggi mattina sul quotidiano Il Piccolo…

CormonsBerlinoArticolo

Sul Messaggero Veneto di ieri

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Clicca su “Foto dal Friuli a Berlino in bici” nel menù sotto il titolo del blog per dare un’occhiata ad alcune foto scattate durante il viaggio!

Grigiorosso

Autunno squarcia questo cielo
nel suo placido distacco
Sincero
Di chi si aggrega
Senza troppe previsioni
foglie a terra
gocce e nebbia
e lei che bacia la mia tela

“Il Verso del Cane” – Vi presento il mio libro (già disponibile!)

copertinaIlVersoDelCane

Ci siamo! Finalmente sono riuscito ad “auto-pubblicarmi” il mio primo libro! Come vi accennavo qualche post fa, si tratta di una raccolta di poesie, di cui ho curato ogni aspetto (versi, impaginazione, creazione della copertina). È un’opera molto importante per me, oltre ad essere la prima, proprio perché è nata in camera mia e perché a modo suo racconta la prima parte di un percorso, di un’evoluzione spirituale personale, iniziata molti anni fa, anche inconsapevolmente. È la testimonianza di una serie di cambiamenti personali avvenuti nel corso di questi ultimi tredici anni (circa) di vita: dalla mia crisi post-adolescenziale fino ad oggi. Cambiamenti che infondo non riguardano soltanto me ma ognuno di noi a modo suo, ognuno per la sua strada ma accomunati dal rapporto con ciò che ci circonda e con le tematiche dell’esistenza, che sono uguali per tutti nel bene e nel male: amore, contatto/distanza, contesto sociale in cui viviamo.

Il libro è stato stampato e pubblicato dalla Youcanprint, una casa editrice a tutti gli effetti, che lavora in rete e che fornisce a qualsiasi scrittore o aspirante tale, i servizi necessari per la creazione di un libro, senza vincoli contrattuali.

TITOLO E CONTENUTO DEL LIBRO:

“Il verso del cane” è la nostra voce interiore. Siamo noi, che nel frastuono delle opinioni altrui, nei faccia a faccia con le nostre scelte interiori quotidiane permettiamo che la voce del cuore venga soffocata dalla paura, mentre cerca invano di esprimere la semplice verità. Nessun altro meglio del cane esprime e rappresenta la solitudine dell’individuo, complice e ostaggio dei suoi (apparentemente) simili. Dedicato al mio primo cane, grande poeta e grande amico, Bubu.

Una raccolta di trasformazioni, di riflessioni personali su quelle piccole distanze fisiche e cerebrali tra noi, sotto forma di poesie.

Questi sono i versi attraverso cui racconto anche il cane che sono io: le distanze tra me e i miei simili, i miei punti di vista nei confronti dei ritmi di vita frenetici di una società che ci vuole abituare a seguire a qualsiasi costo, e il tempo libero, divenuto la merce più rara in circolazione.

Tutti segnali di un mondo che a mio avviso sta andando nella direzione sbagliata, ma fatto di persone che se individualmente si impegnassero a cercare un po’ di consapevolezza e di buon senso, potrebbero invertire la rotta dall’oggi al domani.

Il libro contiene anche riferimenti al luogo in cui sono nato e cresciuto, Cormòns (GO), una località ricca di luoghi suggestivi e anche nascosti spesso, che sfuggono alla cecità dei distratti.

 

COME RICEVERLO:

Il Verso del Cane oggi ha una nuova copertina ed è già disponibile su Amazon. Clicca qui per saperne di più.

Esseri o Non-esseri

Forse è vero

che spesso siamo situazioni,

sfocate immagini allo specchio…

Vite travestite,

parassiti di passaggio

in un passivo divenire…

Esistenze alienate

osannate dal successo,

attratte dall’eccesso

in un eterno inseguire…

Decadenti identità

sotto forma di progresso.

Non sappiamo lasciar dire…

E mentre dite

non mi ammalo

se mi spoglio

all’alba nuova di un respiro

che incorona un nuovo uomo

re del suo universo…

È la vittoria del diverso.

Finalmente sono io.

Dal Friuli a Berlino in bicicletta e poi… – “IL POST-VIAGGIO”

Dal Friuli a Berlino in bicicletta” si è conclusa prima del previsto a causa di alcuni disguidi (ancora poco chiari) riguardo la prenotazione del biglietto di ritorno che il 2 settembre mi avrebbe dovuto condurre a Verona, da dove poi in bici avrei proseguito verso Modena e risalito in Friuli attraverso la laguna veneta.

Giunto a Berlino, in sella alla mia bici e venuto a conoscenza dell’impaccio, quasi per caso, alla biglietteria della Hauptbahnhof (la stazione dei treni principale) ho tentato (invano) di prenotare uno stesso biglietto ma i posti destinati alle due ruote sono sempre limitati sui treni, soprattutto se si parla di treni a lunga percorrenza, e anche ammesso che se ne trovino, il gioco con le coincidenze lungo il tragitto funziona soltanto prenotando parecchio tempo prima.
Così, la soluzione più logica e veloce è stata comprare un biglietto “destinazione casa” e ahimè, senza la bicicletta, la quale è rimasta a Berlino, con la speranza che l’amica Sara, che mi ha gentilmente ospitato, trovi anche un modo semplice ed economico per spedirmela e farmela recapitare a casa (anzi, se a qualcuno di voi è già capitato di dover importare qualcosa dall’estero tramite corriere o simili, tranne che si tratti di semplici acquisti online, ogni consiglio è ben accetto!).

Ciononostante è stata un’esperienza bellissima ed entusiasmante, profonda sotto ogni punto di vista.

Ed eccomi qua, di nuovo nella mia stanza ad ascoltare il respiro del mio monte, mentre frugo nel cassetto della mente in cerca delle impressioni, dei ricordi, delle cose giuste da scrivere, per cercare di ricordare, riprodurre e condividere con voi le sfumature dei cieli che ho toccato, gli odori, i diversi stati dell’essere in relazione con il vento e con il momento presente di quei giorni trascorsi in sella, verso nord. Mi piacerebbe descrivere ogni piccolo dettaglio di certi angoli remoti e inesplorati di mondi conosciuti, salvaguardati da qualche dio, assieme ai volti della gente che è ho incrociato e che non dimentico, nonostante la brevità del nostro contatto.

Pedalare attraverso il centro Europa, da Cormòns a Berlino non è stato difficile dal punto di vista fisico. Non è stato così stancante come credevo perché mi accorgevo che più pedalavo e più facilmente metabolizzavo i chilometri che macinavo giorno per giorno. La vera sorpresa è stata la relazione tra la bici e la mente. Per questo posso dire con assoluta certezza che la vera sfida si è svolta sul campo psicologico.

Abituare la mente, prima del corpo, è stata la vera battaglia con me stesso. E devo ammettere che dopotutto, la testa ha svolto più che egregiamente il suo compito poiché il terzo giorno sentivo che io, la bici e l’universo eravamo diventati una cosa sola. Bastava solo procedere.

Ho attraversato dialetti, tradizioni, usanze e routine di persone, di famiglie che abitano luoghi distanti dalle classiche mete turistiche, protagonisti delle loro piccole realtà quotidiane che con un qualsiasi altro mezzo veloce (auto, treno, aereo) resterebbero escluse dai nostri sensi.

Viaggiare pedalando significa conoscere, percorrere lentamente diverse culture, spesso contigue o comunque vicine geograficamente ma spesso distanti sotto molti altri aspetti; differenze che noti soltanto se ci passi attraverso e se ti fermi ad osservare, cosa che con la bici diventa piuttosto semplice, automatica e quasi necessaria.

Vi dirò una cosa: secondo me i confini, così come li conosciamo, non esistono.

Non esiste nessuna frontiera tedesca o austriaca nel linguaggio dei sensi, nessun concetto di stato, un po’ come non esistevano i concetti di “Germania” o di “Austria” fino all’800, quando i loro confini non erano definiti come oggi, nemmeno sulla carta geografica. Ogni territorio del mondo è suddiviso in tante piccole comunità che non rispettano i confini stabiliti dai governi.

Per chiarire meglio il mio pensiero mi aggancio alla storia portando l’esempio dell’impero austriaco, che copriva mezza Europa fino a una miriade di piccolissimi staterelli autonomi in cui quelli che parlavano il tedesco erano addirittura una netta minoranza.

Così anche la gente nei territori che oggi costituiscono la Germania, non si definiva “tedesca”, bensì prussiana, frisone, sassone, badense, sveva, bavarese etc. Anche “Austria” e “essere austriaco” non erano concetti del tutto chiari. Nell’impero austriaco del ‘700 e ‘800 vivevano austriaci (quelli che parlavano tedesco), ungheresi, italiani, boemi, dalmati, slovacchi, rumeni, polacchi e molte altre nazionalità ancora. Era più una federazione di popoli e comunità che uno stato unitario. Dei due stati “Germania” e “Austria” e dei due popoli “tedeschi” e “austriaci”, come li conosciamo oggi, non c’era neanche traccia.

Secondo me, se proviamo ad osservare tutto più da vicino, non è cambiato molto.

La gente, in relazione con il territorio in cui vive, non ha mai rispettato per filo e per segno i confini che le sono stati assegnati sulla mappa e questo secondo me è STUPENDO.

Pretendere di conoscere le diverse culture e le etnie, tenendo sempre presenti i confini geografici che troviamo su un qualsiasi atlante, è sbagliato.

Conoscere un popolo è un’arte.

Ho fatto questa introduzione per poter dire che ogni chilometro nasconde un costume e una storia diversa, personale e interessantissima, che unita alle altre ci regala un concetto globale più originale e sincero di civiltà e di umanità. Piccoli pezzetti che uniti formano il puzzle. E ognuno a modo suo è importante per completare l’opera d’arte.

La globalizzazione non potrà mai raggiungere risultati così alti e il problema forse è che nemmeno lo desidera.

È questo il bello del viaggio in bicicletta, che ti permette di guardare e capire tutto da un punto di vista più poetico, sincero ed originale.

Viaggiare lentamente significa entrare in una dimensione del tutto naturale e schietta, senza maschere, schemi o inutili pose. Ogni qualsiasi altro mezzo motorizzato e veloce, prevede un percorso abbastanza standardizzato, con dei limiti temporali, spaziali e sensoriali. Ogni piccolo aspetto di una cultura passa in secondo piano e spesso scompare dal nostro angolo visivo. Pedalando invece, il tempo e lo spazio si fanno gestire con elasticità, sono i tuoi compagni di viaggio, collaborano con te e le mete lungo il cammino sono molte di più di quelle segnate sul mappamondo il giorno prima della partenza. Molte di esse sono addirittura invisibili sulla carta, esistono soltanto se la nostra sensibilità riesce a convincere quei luoghi ad accoglierci come se li abitassimo da sempre.

Viaggiare in quella dimensione mi ha permesso di incontrare persone umanamente grandi, che hanno saputo anche aiutarmi e incoraggiarmi ad andare avanti senza inutili pregiudizi, aprendosi al mio passaggio, chi più chi meno, a seconda della loro storia e delle loro esperienze personali di vita vissuta.

Consiglio vivamente quindi un tipo di viaggio come questo e lo consiglio davvero a tutti, perché tutti sono in grado di farlo, se c’è la volontà, se c’è la salute (chiaramente), se c’è la voglia di aprirsi, se c’è il desiderio di fare un viaggio diverso dal solito, evitando di usare il classico “teletrasporto” che ci catapulta nel giro di poche ore a 6000 chilometri da casa, snobbando tutto ciò che sta a metà strada.

Ovviamente ognuno ha il suo concetto di viaggio, che nonostante la mia opinione, rispetto, perché in ogni caso viaggiare è l’importante e se lo fate, fatelo prima di tutto con la mente e con il cuore, altrimenti forse è meglio stare a casa.

Non lo so se calza a pennello, ma mi viene in mente un proverbio che dice:

Non occorre guardare, per vedere lontano”

P.S.   Chiedo venia per non aver pubblicato un solo post durante il viaggio, ma per forza di cose non ho mai trovato il tempo necessario da dedicare alla cura di un articolo dall’inizio alla fine, così per evitare di pubblicare cose senza capo né coda, mi sono limitato a “cinguettare” qualche frase e a caricare qualche foto su FacebookTwitter e Instagram.

Ah già…e non scordatevi del mio solito libro di poesie che sto per pubblicare e che presenterò in uno dei prossimi post! 😉

 

Dal Friuli a Berlino in bicicletta (…continuando ad aspettare il mio libro)

Eh già, questo doveva essere l’articolo riguardante la presentazione del mio libro di poesie, con l’anteprima della copertina, ecc. Ma per fortuna e (in questo caso) purtroppo agosto è uguale per tutti e per motivi logistici i tempi di stampa si sono drasticamente allungati.

Sono costretto quindi a rimandare di circa due settimane la pubblicazione della mia raccolta…

Vabbè, pazienza! Manca ancora poco… Continuerò comunque ad aggiornarvi sulla situazione.

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Oggi invece vi presento un altro piccolo progetto che riposa sulla mia scrivania da qualche mese e che diventerà realtà tra pochissimi giorni.

Si tratta di una passeggiata in bicicletta dal Friuli a Berlino, in solitaria.

 

La partenza è prevista per la mattina del 20 agosto.

In sella alla mia bicicletta pedalerò da Cormòns, dal cortile di casa mia fino a Berlino attraverso:

Italia (ovviamente), Austria, Repubblica Ceca e Germania, dove troverò ospitalità presso un’amica udinese, trasferitasi nella capitale tedesca da poco più di un mese.

Mille chilometri attraverso quella parte d’Europa centrale che porta ancora le cicatrici della famosa “Guerra Fredda”, che contrappose l’Oriente all’Occidente, il comunismo al capitalismo, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla caduta del Muro di Berlino. Sarà molto interessante e particolare muoversi e toccare con un mezzo così semplice come le bicicletta, la grazia naturale e paesaggistica di uno spazio di mondo così verde, incantato e suggestivo oggi, contemporaneamente sede di un archivio storico a cielo aperto che conserva le tracce di un periodo buio durato mezzo secolo.

Non ho stilato un programma vero e proprio da seguire durante il tragitto. Valuterò meglio strada facendo, a seconda delle difficoltà che incontrerò lungo il percorso. Ciononostante, le tappe principali (quasi) ufficiali del viaggio d’andata saranno:

Tarvisio, Villach, Salisburgo, Linz, Praga, Dresda e Berlino.

In teoria dovrei ridiscendere in Italia con un treno da Berlino fino a Verona, da cui proseguirei poi verso Modena, dove ad ospitarmi questa volta sarebbe il mio amico Mauro. Il mio rientro in Friuli è previsto per il 5 di settembre, giorno più, giorno meno, passando per Ferrara, Chioggia, la laguna veneta attraverso una ciclabile sospesa tra mare e cielo, sbarcando a Punta Sabbioni, Jesolo, proseguendo verso Caorle, Latisana, Palmanova e Cormòns.

Userò, internet permettendo, questo blog come diario di bordo in tempo reale, con racconti, poesie, foto e quant’altro.

Seguitemi anche sui miei profili Twitter e Facebook, dove la condivisione è un po’ più semplice e veloce.

A prestissimo!

Lascia il Tempo (Ciclo-Poesie) #1

Video girato e montato da me.

Le riprese sono state effettuate in bici con un cellulare, tra i colli friulani e sloveni.

Contiene la mia poesia “Frattempo”.

Mi scuso da subito per la scarsa originalità nella scelta musicale ma per sta volta è andata così. L’ho fatto per evitare i problemi di copyright con Youtube che ha già eliminato alcuni miei video precedenti contenenti canzoni originali. Per eventuali video futuri cercherò soluzioni migliori. 😉